NEW YORK - "Emilio è come un fratello. Sono sicuro che, fosse stato al mio posto, avrebbe fatto per me quello che io sto facendo per lui". Nino Benvenuti parla dell'ex avversario, amico, a cuore aperto, e ogni volta gli si stringe la gola. "Non puoi non diventare amico con chi hai condiviso 45 round", spiega Nino. Quarantacinque round contro Emile (Emilio, come lo chiama lui) Griffith, tre epiche sfide Mondiali a New York che hanno tenuta sveglia l'Italia degli anni sessanta. La sua è una emozione sincera, un legame straordinario. E' vero che la boxe, con lui, si è distinta per il rapporto onesto, cordiale, mantenuto con gli antagonisti, una volta spenti il riflettori sul ring, una volta scesi dal quadrato. Arte nobile, come tradizione vorrebbe, di nome e di fatto. Lo sport dal sangue blu. Con Griffith, poi, è stato anche di più. Da sempre. Un legame speciale, che affonda le radici nel passato ma ha seminato basi per un futuro natural durante. Un impegno sugellato, già dal Natale dello scorso anno, un vitalizio nel quale Nino mensilmente versa all'anziano - incredibilmente coetaneo- campione del mondo una somma che renda dignitosa la sua vecchiaia.
Perfino ora che è tornato, a distanza di poco più di un anno, a calcare i palcoscenici più prestigiosi della Big Apple, Big Nino non si è smentito. E' stato grande, ancora una volta. Ed ha trascinato (seppur su una sedia a rotelle) l'amico sul palco del Radio City Music Hall, a ricevere gli onori di una platea di oltre 6.000 persone,
insieme - modestamente- a Liza Minnelli, Paul Anka, Manhattan Tranfer, Silvester Stallone, Mario Biondi, Christian De Sica, Enrico Brignano, Anastasia. Una parata di stelle (invitate da Gigi D'Alessio per una memorabile serata dedicata a Carosone) accolta da un pubblico in delirio. Ha condiviso, con Emilio, il Premio come Uomo dell'Anno 2011 consegnatogli dall'Ass. Culturale Italiana di New York, in una serata dal sapore nostalgico e patriottico, festeggiata in presenza del Console Italiano a NY Francesco Maria Talò. Durante la quale, ancora una volta, ha sensibilizzato tutti nei riguardi dell'amico, ottenendo un altro piccolo contributo a sostegno di una esistenza con poca salute e ancor meno denaro.
Ma chi è Emilio, a casa sua? Come si snodano le giornate di un uomo che ha avuto più di tutto e ora rischia di naufragare nell'oltre nulla? Tra ombre e chiaroscuri di memoria, attraversando il tunnel della malattia, Emilio, riesce seppur a intermittenza, a trovare appiglio con momenti di lucidità, di emotività retroattiva, legati alla carriera di campione imbattuto sino a quel momento (lui è per tutti, ancora, The Champ, come ama farsi chiamare spesso anche dal figlio adottivo Luis). Luci emotive legate, soprattutto, a Nino. Sono "loro" the untouchable, gli intoccabili. I ricordi dal valore inestimabile. Quelli che - ancora, a distanza di oltre quarant'anni- impreziosiscono le sue giornate; e una vita semplice accanto al giovane - adottato- che si prende cura di lui.
Sono fiochi bagliori, avanzi di ribalta impegnati a illuminare gli ambienti del suo piccolo appartamento, a Hempstead, in Long Island; circa un'ora di treno da NY in un tragitto intervallato da paesi dai nomi romantici ed evocativi come Garden City, Nassau Boulevard, Floral Park, Bellerose. Perfino un (dedicato?) Country Life Press... Il vento è gelido. Un clima diverso rispetto alla City. La casa è a pochi isolati. E, da residenziali, elegantemente graziose, spaziose oltre il superfluo, le costruzioni diventano man mano quasi alveari. Scompare il tetto spiovente, mansardato. Tutto diventa piatto, squadrato. Essenziale. Di più: meno che essenziale. Sufficientemente vivibile. In un limbo dove tra il dignitoso e il non il confine è spettralmente labile. Ciò che non basta a cancellare, sul viso di Luiss, l'espressione di pacatezza, sommessa serenità. Mai e poi mai di patetica rassegnazione. Eppure, che sapore amaro la loro vita compressa in 30 miseri mq di quotidiano, zeppi di trofei, documenti, CD, televisore, computer, 2 letti, gabbietta per il cane, micro bagno, angolo cottura. Compressa come il nostro muscolo cardiaco, fino alla fitta.
La luce, fioca, in quei 30 mq di vita, è uno sfumato rico
rdo del bagliore accecante di un glorioso passato sul ring. Che perfino i trofei faticano a mantenere in vita. Quasi senza passato e con un futuro difficilmente immaginabile. Un passato raccolto in un libro che lo racconta a cuore aperto: "NINE, TEN... AND OUT! The two worlds of Emile Griffith", nel quale - tra le altre confessioni- fa outing sulla sua bisessualità. Pagine nelle quali si respira a pieni polmoni la polvere che si alzò, in quegli anni, dentro quel quadrato, su quel ring.
L'accoglienza per consentire un breve réportage fotografico, con la premessa di voler offrire del padre l'immagine più dignitosa, suona di una tenerezza commovente. Niente agganci patetici, niente pietas subliminale. Anzi: il leone, seppur accomodato in poltrona e non ruggente e minaccioso dietro le sbarre, ha ancora da mostrare la sua straordinaria personalità, pur se all'ombra di una oramai invisibile criniera. La realtà, tra la gente, sotto i riflettori, a fianco a Nino, tra le mura domestiche, si annienta, rintanata in se stessa, un urlante, dimesso silenzio. E la candela profumata, accesa chissà se per l'occasione, non basta a coprire l'odore acre della povertà. Ma mentre... we love you, Champ... che fine ha fatto l'America ?
Fonte: Anita Madaluni, Repubblica.it del 3 marzo 2011