«Il calcio italiano è di destra, il calcio argentino è di sinistra». Sono i pensieri e le parole, semplici e sempliciotte, di Daniel Cohn Bendit, copresidente europeo dei Verdi, ex combattente del maggio francese, ex rifugiato politico, ex francese poi trasferito in Germania per evitare la leva militare, ex nemico del capitalismo e dell'economia di mercato prima di rivedere e corregge le tesi rivoluzionarie che lo avevano trasformato nell'icona di qualunque movimento studentesco, operaio, Dany le rouge, per ideologia e colore dei capelli, tinti, però, quella volta che si rinfilò clandestinamente in Francia per partecipare a una assemblea alla Sorbona, da lui medesimo occupata, assieme ad altri nei giorni più caldi delle «manìf».
Tutto questo identikit per risalire al personaggio che è di quelli tosti, per immagine, un po' meno per sostanza, naif e assieme oggetto di propaganda. Dany ha cambiato colore, oggi è Dany il verde, al parlamento europeo ha tenuto proprio ieri un intervento duro, con la sua vocina non proprio barricadiera, contro Gheddafi, ça va sans dire, ma stavolta passa alla cronaca non per i suoi pensieri politici bensì per le parole sul football, pronunciate, come opinionista di Canal plus, venerdì sera, nel programma Les Specimens.
Dunque gli italiani del pallone, le squadre, sono brutti, noiosi, annoiati, di destra, conservatori, puntano al massimo risultato con il minimo sforzo, mentre se qualcuno vuole trastullarsi con il pallone deve emigrare in Argentina. Premessa: se vogliamo parlare del football contemporaneo si può concordare sulla qualità modesta dello spettacolo nostrano, figlio non della mentalità storica del Paese ma della nuova cultura del muscolo, della palestra, del tatticismo che è cosa diversa dalla tattica. Ma la provocazione di Cohn Bendit è un'altra, è da comiziante che titilla gli ignoranti e incompetenti.
Tanto per incominciare si dovrebbe domandare a Daniel che cosa significhi un calcio di destra? Lui afferma che si tratti del catenaccio. Bene, a sinistra devono assolutamente mettersi d'accordo e so quanto l'impresa sia ardua su qualunque terreno di discussione. Toni Negri, il professore patavino, un altro che ha trovato la libertà esistenziale e di pensiero tra la tour Eiffel e le foie gras, in una intervista a Liberation, aveva dichiarato che il catenaccio rappresenta la vera lotta di classe, dunque allons enfants de la partita, evviva la tattica patriottica che ci ha portato a conquistare quattro titoli mondiali, mica come gli argentini. A proposito: Dany le vert dice che la filosofia giusta fu quella di Menotti, chiamato el flaco per la sua magrezza. Luis Cesar Menotti fu l'allenatore della squadra campione del mondo nel 1978 a Buenos Aires con lo slogan «a l'ataque, à l'ataque». In verità il popolo di sinistra disse e scrisse che quel titolo fu definito dalle operazioni astute del generale Videla che necessitava di un trionfo per tenere calma la piazza. Dunque un football de la derecha alla faccia dell'izquierda.
Tra Negri e Bendit dove sta, allora, la verità? Da nessuna parte, perché le definizioni destra e sinistra hanno un bel gusto, anche raffinato e intelligente, se cantate da Giorgio Gaber ma lanciate sul tavolo per il gioco del calcio diventano ridicole. Il calcio ha abolito l'ala sinistra, il terzino destro, li chiama esterni alti, esterni bassi e adesso arrivano gli ultimi soldati giapponesi della propaganda a sventolare il libretto rosso, insomma quella che Brera chiamava masturbatio grillorum, una pratica inutile, snervante, ovviamente non per la bestiolina. Il dibattito è aperto, si gioca destra contro sinistra ma, come sempre, la palla è al centro.
Articolo di Tony Damascelli, fonte: il Giornale