Tra i piccoli inconvenienti della professione, c’è quello di ammettere i propri sbagli. Io ne ho compiuto uno con Aurelio de Laurentiis, focosissimo presidente del Napoli.
Quando il produttore dei cinepanettoni si è affacciato sul mondo del calcio, ne ho colto quasi unicamente gli aspetti pittoreschi, in taluni casi - si può dire? - cafoni. Non mi piaceva la rudezza dei rapporti, da vecchio padrone del vapore che la domenica pomeriggio si sentiva autorizzato a sputare qualunque sentenza contro i propri dipendenti. Come dimenticare gli attacchi, mi raccontano persino fisici, al mite Edy Reja? O come scordare il modo brutale con cui liquidò Pierpaolo Marino due anni fa? Sulla vicenda aveva ragione, il Napoli era al di sotto degli investimenti fatti, ma i modi me lo rendevano antipatico, così come quel linguaggio criptico insopportabile negli intervistati. E invece l’errore era mio: un giudizio professionale non dovrebbe mai basarsi su sensazioni o sentimenti.
Oggi, 13 luglio 2011, De Laurentiis è il vero re del mercato, il più abile al pari del sosia laziale, intendo quel Claudio Lotito sul quale - almeno questo - rivendico di avere visto bene in anticipo sui pregiudizi di molta stampa. Inler, Britos, Santana, Donadel, Dzemaili: nessuno ha comprato tanto. Ma De Laurentiis ha fatto di più, in queste settimane, ha trasformato una società a rischio saccheggio in un fortino in grado di respingere gli attacchi. Pare che persino il Milan e Raiola abbiano iniziato a temere che Hamsik non si muova più. Nemmeno l’Inter riuscì a resistere all’assalto del solito Mino per Ibrahimovic.
Tornando a noi, de Laurentiis ha resistituito una dignità enorme al Napoli, contribuendo a riportarla tra le grandissime piazze del calcio italiano ed europeo. Con modi bruschi, spesso imbevuti di folklore, ma efficaci. La maschera a Inler era una marchetta spudorata per uno sponsor, eppure con il suo carico di volgarità ha conquistato le aperture dei giornali. I risultati non bastano mai a rendere forte un club, serve anche una politica societaria, una visione, una strategia. E De Laurentiis la possiede, esattamente come la possedeva Franco Sensi negli anni d’oro della Roma, nel suo disegno di andare contro il potere del nord. O come la possiede il ricordato Lotito, primo moralizzatore del calcio. Quando il presidente del Napoli insiste sul prestigio di giocare nella sua squadra, sullo spirito napoletano che deve campeggiare su tutto, non si ingrazia solo la tifoseria, ma manda anche un messaggio esplicito alla concorrenza. Napoli non è terra di razzia, come spesso ha fatto la politica sulla città. Dal laurismo siamo al delaurentismo. Pare funzioni.