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Speciale Copa America 2011: i TOP e i FLOP

Redazione

26 luglio 2011

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Terminata, senza eccessive sorprese nelle finali, un’anomala edizione della Copa America che aveva già visto abbandonare i sogni di gloria da parte delle favoritissime Argentina e Brasile, ecco un resoconto di ciò che è emerso in positivo e in negativo. FLOP 10 10 – La crescita dei talenti (veri e presunti) Restando cauti nei giudizi – perché trattasi di ventenni o poco più – inutile nascondersi: ci si aspettava di più dai vari Neymar e Ganso, strombazzati da alcuni mesi a questa parte e accostati a club europei di primissima fascia. Alcune buone giocate, qualche gol ma la sensazione che siano molto acerbi per primeggiare in campionati assai insidiosi come la nostra serie A o la competitiva Premier League. 9 – Il Cile di Borghi e Sanchez Non un vero flop, ma comunque una mezza delusione per la Roja che tanto bene aveva fatto un anno fa in Sudafrica, sotto la giuda di Marcelo Bielsa. Non che il tecnico argentino Borghi abbia rivoluzionato chissà che cosa, almeno non a livello di uomini, avendo agito soprattutto a livello tattico nella disposizione dei centrocampisti, ma qualcosa della funambolica creatività del Cile dell’anno scorso è mancato. Forse Sanchez, che pure ha dimostrato di possedere grandi numeri, è arrivato un po’ stremato a questo punto della stagione; forse il fatto che il terminale offensivo (Suazo o in alternativa Paredes) sia l’anello debole della squadra non ha giovato all’insieme ma… in un torneo dove le migliori sono state eliminate a sorpresa, ci poteva stare l’exploit del Cile che invece tarda ad arrivare. 8- L’attacco del Paraguay Se la difesa ha ben figurato, almeno fino alla finalissima contro l’Uruguay, la stessa cosa non si può dire dell’attacco nel quale, avendo esaurito le risorse di gol prestate alla Nazionale da parte di un Santa Cruz in rapida discesa, a poco è servito il gran dinamismo di Valdes, attaccante generosissimo ma poco fornito a dovere da un centrocampo in cui abbondavano gli incontrasti. 7- La correttezza in campo Se sugli spalti abbiamo assistito a un tifo passionale, viscerale ma pure corretto, la stessa cosa non si può certo dire riguardo ai protagonisti che sono scesi in campo. Troppe volte sono scattati gli animi dei giocatori più irosi (alcuni li conosciamo bene, vero Vargas?), spesso la frustrazione ha giocato brutti scherzi (come al brasiliano Lucas Pezzini) o la legittima delusione si è trasformata in una rabbia incontrollata (come i giocatori del Venezuela dopo essere stati eliminati ingiustamente in semifinale). 6 – La qualità dei centrocampisti brasiliani. Difficile a memoria ricordare un centrocampo verdeoro più scadente di quello visto all’opera in questa Copa America. I puristi già osteggiavano la mediana targata Usa ’94, che pure schierava Dunga, Mazinho e Zinho e, particolare non da poco, vinse un Mondiale (!); cosa dovrebbero dire allora di un reparto formato da Lucas Leiva Pezzini e  Ramires “gambe lunghe”? Ok che l’atteso Sandro si è infortunato prima ancora di scendere in campo e che Elano è quasi un ex giocatore, ma vedere Robinho abbassarsi quasi a mediano per prendere un pallone dà bene il quadro della situazione. 5 – La partecipazione delle squadre “Under”. Spiace bocciare i giovani di Costa Rica e Messico (anzi, qualcosa è assolutamente da salvare, vedi nel Costa Rica “il nuovo Eto’o” Campbell, appena 19enne e già in possesso di personalità e freddezza in zona gol o il grintoso Salvatierra), ma è soprattutto la concomitanza tra Coppa America e Gold Cup da evitare in futuro, se si vuole valorizzare due nazionali rispettabili. Anzi, il Messico nella formazione migliore avrebbe potuto, col senno di poi, dire ampiamente la sua per la vittoria finale. Invece, a  partecipare in una manifestazione così prestigiosa con gli Under 21, si rischia di non ottenere nulla di buono, di scoraggiare i più promettenti, piuttosto che fargli maturare esperienza internazionale. 4 – La Bolivia A conti fatti la squadra apparsa più debole in questo momento, più ancora dell’Ecuador che fino a un certo punto ha messo alle strette il Brasile con i gol della sua punta di diamante Caicedo, è stata la Bolivia, il cui pareggio fortunoso all’esordio contro i padroni di casa dell’Argentina, appare ridimensionato nell’importanza, vista poi la nefasta esperienza della Seleccion. La nazionale boliviana non ha mostrato un bel gioco, né giocatori molto interessanti. Un movimento calcistico che sembra agli antipodi di quello venezuelano. 3 – I rigoristi del Brasile Che la Copa America non stesse andando benissimo per i verdeoro si era intuito sin dal grigissimo esordio ma arrivare a quelle condizioni e battere i rigori in quel modo così sciagurato, francamente era difficile da ipotizzare. Pronosticare un esito così umiliante e negativo poi, forse nemmeno ai più quotati bookmakers inglesi sarebbe venuto in mente di rischiare: 4 rigori 4 sbagliati, in maniera imbarazzante. Colpa del campo? Ma stiamo seri, per favore. 2 – Lo spettacolo in campo Pochi, pochissimi davvero i momenti di gioco durante i 90 minuti (spesso 120) in cui ci si è spellati le mani dall’entusiasmo. Spettacolo quasi a zero, nonostante le tante aspettative suscitate alla vigilia dalla presenza di alcuni tra i migliori frombolieri del mondo. Sporadiche giocate che poco hanno compensato la voglia dei tifosi e dei telespettatori. Un brutto segnale in attesa delle prossime competizioni mondiali. 1 – L’Argentina di Messi Non voglio fare il pressappochista e prendermela di petto contro Messi. E’innegabile però che tutti, ma proprio tutti, auspicavano di vedere finalmente tradotte in maglia biancoceleste, le meraviglie viste e riviste in maglia blaugrana. Ma non solo lui ha deluso, giocando ben al di sotto delle sue reali possibilità e dovendo fare i conti con una pressione francamente esagerata. Tolto il Kun Aguero che, seppur defilato e sotto utilizzato, ha ben contribuito in numero di gol, molti altri campioni hanno fatto cilecca, da Tevez (abulico e nervoso) al Pocho Lavezzi (quasi imbarazzante sotto porta, forse si è bruciato ogni chance futura di giocare titolare in Nazionale), fino a Banega, apparso un ibrido innamorato di sé stesso e del pallone (molto più efficace il tanto bistrattato madridista Gago). Moltissime responsabilità le ha anche il tecnico Batista, che si è incaponito nel voler emulare il Barcellona di Guardiola, senza poter disporre di uomini adatti a quell’incantevole gioco. Se a centrocampo hai Mascherano e Cambiasso (che comunque è stato messo subito in disparte, chissà poi perché) e non Xavi e Iniesta è difficile ricreare certe alchimie, nonostante la presenza del miglior giocatore del mondo là davanti (che difatti era costretto a venire a prendersi il pallone fino a centrocampo e a dispensare assist, più che finalizzare e duettare con i compagni in prima linea). Veniamo allora a Messi. Inutili, fuorvianti e improponibili i paragoni con il Pibe de Oro ma visto che li fanno tutti, mi ci metto pure io. Mi attengo ai fatti: Diego ha vinto titoli nazionali  con Argentinos Juniors e Napoli (che non si sono più ripetuti senza di lui e che prima non avevano mai vinto nulla), oltre che un Mondiale da protagonista, in una Nazionale tecnicamente meno forte di questa. Messi da quando ha poco più di 15 anni gioca nel Barcellona (a detta di molti la migliore squadra del mondo), in una compagine nella quale almeno altri 3 giocatori hanno, in proporzione, la medesima sua importanza ai fini dei grandi risultati sinora ottenuti (i già citati Xavi e Iniesta e il capitano Puyol) TOP 10 1 – L’Uruguay Facile assegnare il primo posto alla squadra vincitrice del torneo. Ma è un gradino assolutamente meritato, una grande conferma dopo le ottime prestazioni al Mondiale Sudafricano. Qui, con Matador Cavani a mezzo servizio (e mugugnante per l’impiego sulla fascia destra), salgono in cattedra Suarez, sempre più convincente e in possesso di un bagaglio tecnico da assoluto campione, l’altra punta Forlan, appannato per tutta la stagione ma apparso in spolvero per l’occasione (ha eguagliato il nonno e il padre, anch’essi vittoriosi in copa America… una dinastia incredibile e forse unica) ma sono emersi con forza altri giocatori. Su tutti il laterale del Porto Alvaro Pereira, moto perpetuo, abile a coprire bene tutto l’out mancino e pericoloso in area di rigore dove ha segnato gol pesanti ma soprattutto l’ex juventino Caceres, davvero migliorato nella fase difensiva e accresciuto in personalità, rispetto ai timidi, seppur promettenti inizi di carriera nel Barca. Benissimo anche il capitano Lugano, una sicurezza e il portiere Muslera, a tratti insuperabile. Significativo che la squadra più “europea”, almeno come tipologia di gioco, abbia vinto la manifestazione. 2- Il tecnico del Venezuela Cèsar Farìas Dietro il sorprendente percorso del Venezuela c’è la sapiente mano di un allenatore giovanissimo (38 anni) ma non sprovveduto, anzi un vero conoscitore del calcio e dei sistemi di gioco. Non a caso chiamato “Il Mourinho del Sudamerica”, ne ha di strada da fare per avvicinarsi al modello originale, ma se non altro le premesse sono interessanti e almeno in simpatia lo ha già sopravanzato. Nell’insieme di una nazionale in crescita si sono evidenziati diversi elementi, dal difensore centrale Vizcarrondo, al terzino sinistro  Cichero (meteora italiana,  velocissimo e ficcante nella fase offensiva), allo scattante laterale offensivo Fedor, fino ai più conosciuti Maldonado, Rosales e il giovanissimo Rondon, su cui il milionario Malaga conta di fare affidamento per molti anni. Bene nei scampoli di gara giocati la mezzapunta Orozco (appena ventenne) e soprattutto il capitano Arango, che ha fatto da chioccia per i più giovani, trascinando col suo carisma e il suo talento tutta la squadra. 3 – Guerrero Tutto il Perù ha disputato un’ottima coppa America ma sugli scudi (ri)sale un attaccante ben conosciuto anche in Europa, specie in Bundesliga, dove da anni dispensa gol e ottime giocate. Paolo Guerrero è ancora giovane (27 anni) ed è un attaccante completo, capace di tenere in piedi l’attacco da solo e di segnare in tutti i modi. Splendida la sua tripletta nella finalina. 4 – Justo Villar Fino alla finalissima sembrava quasi un extraterrestre questo semi-sconosciuto portiere 34enne che nell’ultima stagione aveva contribuito poco attivamente alla causa del Valladolid (serie B spagnola, dove spesso faceva da secondo). Paratutto, reattivo, spettacolare con i suoi plastici voli, da Brutto Anatroccolo si era letteralmente trasformato, alzando il tono di un’intera carriera. Ma il risveglio è stato di quelli destabilizzanti: al cospetto di punte come Suarez e Forlan ha saputo fare ben poco anche lui. 5- Il catenaccio del Paraguay Insieme al portiere Villar, ha fatto la sua figura tutta la squadra paraguayana, giunta ad un passo dal sogno, ma in special modo ha brillato la difesa, su tutti Veron, Alcarez e  Piris. Fautori di un “catenaccio” fuori tempo massimo, capace di imbrigliare squadre assai più blasonate (i cannoni del Brasile sono stati presto spenti), hanno pensato per prima cosa a difendersi, a non prenderle, mettendo in rare occasioni il naso nell’area avversaria (quando accadeva erano le belle incursioni dell’ala sinistra vecchio stampo Estigarribia a farla da padrone). Una tattica che ha pagato e massimizzato l’approccio sterile alla partita, se si pensa che la squadra è giunta in finale senza vincere una gara. In realtà la fortuna ha fatto la sua parte, visto cosa accaduto contro un incredulo Venezuela (3 i legni colpiti in semifinale), fino allo scontro impari contro l’Uruaguay. 6 – La Colombia Per alcuni poteva fare decisamente di più, considerando l’inizio molto promettente. Una squadra che appare forte in prospettiva, visto che molti giocatori sono in piena fase di crescita (pensiamo ai due del Porto, Falcao e Guarin o all’udinese Armero) ma non ancora pronta allo stato attuale per poter ambire a grandi traguardi. E difatti al primo serio ostacolo, la squadra, pur combattendo ha deposto le armi. Da tenere d’occhio comunque in vista del Mondiale, al quale potrebbe arrivare da stella il talentino Teofilo Gutierrez che in questa sede ha solo fatto intravedere le meraviglie mostrate nel recente campionato argentino. 7 – La conferma di Vidal In un Cile che un po’ ha lasciato l’amaro in bocca, non hanno sfigurato gli elementi chiave. Da Sanchez che, seppur stanco, ha segnato e cercato di trascinare i compagni (in attesa di coronare un sogno chiamato Barca), al combattente Medel, dal trequartista Valdivia (purtroppo sempre a mezzo servizio) al tuttofare Vidal, autore pure di uno spettacolare gol di testa, perfetto per tempismo e stacco perentorio, lui che certo non è un gigante. In attesa di vederlo all’opera con la maglia della Juventus, la Copa America ci consegna un mediano tutto d’un pezzo, capace se necessario di agire qualche metro più indietro o più esterno in fascia sinistra. Giovane ma già esperto, come certifica la fruttuosa esperienza in Bundesliga, potrebbe essere stato un vero colpo per il mercato della Vecchia Signora. 8- Oscar Washington Tabarez Un tecnico da sempre considerato all’avanguardia, superati i 60 anni (classe ’47) ha ancora molte cose dal dire, nonostante un curriculum assai prestigioso. Gran parte dei meriti per il trionfo in Copa America sono suoi, in quanto è riuscito a trasmettere molta sicurezza ad una squadra, sì esperta a certi livelli, ma che pareva statica, non progredita rispetto al brillante mondiale dell’anno scorso. In pratica ha puntato sullo stesso ciclo, sullo stesso 11 verrebbe da dire, se non avesse perso per gran parte del torneo, per cause di forze maggiori, uno dei giocatori più rappresentativi, il “napoletano” Cavani. 9- Joel Campbell (Costa Rica) Merita uno spazio a sé, questo attaccante che, si presume ancora per poco,  si diletta in patria, nel Sarissa. Classe ’92, in assoluto uno dei più giovani protagonisti del torneo, assieme ai tanto più acclamati Neymar e Lucas Moura, ha messo in mostra grandi qualità tecnico-tattiche. Senso della posizione, visione del gioco, velocità e, cosa che maggiormente conta per un attaccante, una certa freddezza in area di rigore, sia che si tratti di dispensare il passaggio decisivo a un compagno, sia che si debba finalizzare. Un campioncino, sul quale pare favorevole e sensato farci un investimento. 10 – Caicedo (Ecuador) Citazione di merito per questo giovane attaccante, classe ’88, che si è permesso il lusso di segnare una pregevole doppietta, mostrando un buon repertorio di colpi (destro-sinistro, rapidità, tiro dalla distanza) ad una esterrefatta difesa brasiliana (irriconoscibili Thiago Silva e Lucio, protagonisti del nostro campionato). Non un pivello, in fondo gioca in un campionato impegnativo come quello spagnolo (nel Levante) e probabilmente le sue quotazioni sono ulteriormente aumentate. Gianni Gardon Dal blog PELLEeCALAMAIO http://giannivillegas.splinder.com/ [album id=104 template=compact]

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