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L’ultima corsa di Cheseto

Redazione

23 novembre 2011

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Nella terra dei Lagat, dei Wanjiru, dei Tergat e dei Makau (recordman il 25 settembre a Berlino in 2.03'38''), chiamarsi Marko Cheseto ed essere nato a Kapenguria, la città da cui partì la lunga marcia della miglior maratoneta nella storia del Kenya, Tegla Loroupe, non è necessariamente un passaporto per la felicità. La corsa di Marko, infatti, il keniano che non aveva saputo correre abbastanza veloce verso le borse delle grandi maratone, è finita (...) a 28 anni ad Anchorage, in Alaska, agli antipodi dell'Africa nera e del buonsenso, con i piedi amputati e le mani prive di sensibilità, nell'ultimo posto del pianeta in cui ti aspetteresti di trovare un africano votato alla fatica, ma di certo non al freddo. Per dare una svolta alla sua vita da mediano delle lunghe distanze, schiacciato dalla concorrenza dei fuoriclasse usciti da Eldoret e Iten, Cheseto aveva accettato una modesta borsa di studio dall'Università dell'Alaska, un po' troppo a nord ma pur sempre Stati Uniti, la fabbrica delle possibilità: un corso di studi in infermieristica e nutrizione in cambio di un po' di gloria strappata ai muschi e ai licheni nelle campestri, l'onesto compromesso per continuare a coltivare la passione per l'atletica e sbarcare il lunario, come un brasiliano senza fantasia che si accontenti di un ruolo da terzino a Poggibonsi. Il record nella mezza maratona di Anchorage e qualche titolo studentesco avevano regalato a Marko la fama che, per altri motivi, nel suo sophomore year (il secondo anno di studi) l'ha sbattuto in prima pagina sull' Anchorage Daily News , tra Sarah Palin e l'allarme alci che scendono in città in cerca di cibo. Cheseto era stato visto per l'ultima volta alle sette di sera di domenica, mentre, con un cappotto leggero e le scarpe da ginnastica, usciva dalla facoltà di Scienze sociali. Lunedì i suoi compagni di dormitorio avevano denunciato la sua scomparsa. Ieri, dopo 48 ore di ricerche nei boschi con i cani e gli elicotteri, riapparendo all'improvviso dalla tempesta di neve nella quale era scomparso, Marko si è trascinato nel campus in condizioni pietose: le mani in ipotermia, i piedi così congelati da essersi saldati con le scarpe. «Non siamo riusciti a togliergliele, prima di amputare» hanno detto i medici. Dove è stato? Cosa è successo? Sono domande alle quali Cheseto risponderà quando sarà in grado di farlo. Steve Cobb. c.t. della squadra di atletica dell'Università, ha abbozzato una prima spiegazione: «Marko era ancora sconvolto dalla morte di William Ritekwiang, connazionale, amico e compagno di allenamenti, che si è suicidato lo scorso febbraio a 23 anni. Si era preso del tempo lontano dallo sport ed era tornato in gruppo di recente. Eravamo appena rientrati da Spokane, dove avevamo partecipato a una gara». Gaia Piccardi per il Corriere della Sera Link alla versione integrale dell'articolo

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