Confesso che di fronte alle dimissioni in diretta televisiva di Giuseppe Giannini, nell'immediato dopopartita di Pescara dove il suo Grosseto aveva appena sconfitto la squadra di Zeman (ancora imbattuta all'Adriatico), mi sono trovato d'istinto a prendere le parti del tecnico, colpevole (a detta del presidente Piero Camilli) non solo di non aver impresso alla squadra l'auspicato cambio di marcia, ma soprattutto di non aver ascoltato i suoi consigli: "Gli avevo suggerito alcuni accorgimenti. Lui non mi è stato a sentire e non mi ha neppure risposto al telefono". Cinque partite appena, un rendimento altalenante (due vittorie esterne e tre sconfitte interne), d'accordo, ma vorrai dare il tempo a chi è salito in corsa su una macchina progettata da altri (presidente compreso) di capirci qualcosa e di agire di conseguenza? Macché, Giannini vuol fare di testa sua. Non sia mai. E giù critiche, frecciate, pressioni per giocare in questo o quel modo, per schierare questo o quell'altro.
L'allenatore per un po' ha abbozzato, poi è sbottato. E alla sesta, il colpo di teatro. Vittoria a Pescara, luci della ribalta tutte per lui e lui che fa? Davanti alle telecamere accusa ("Non si può essere messi in discussione ogni giorno. Se vinci, sei bravo. Se perdi quella dopo, diventi subito un cretino") e corre a fare le valigie. Chapeau. Questo è uno che c'ha le palle, ho pensato. Oggi che Fabio Viviani prende il suo posto (in bocca al lupo, si è preso un bella pesca), vedo la vicenda sotto una luce leggermente diversa. Se Camilli ha perso una buona occasione per trasmettere un pizzico di tranquillità a una squadra che, tutto sommato, si trova ancora nella possibilità di inseguire i playoff (ma si può farlo quando un presidente si lascia andare ad affermazioni del tipo: "Siamo stati 18 giornate senza un allenatore"?), pure Giannini ha perso un'occasione: per difendere le proprie idee, il proprio modo di lavorare, la propria indipendenza nella gestione del gruppo. Facile e forse comodo gettare la spugna per le troppe pressioni. Umanamente comprensibile, ma dare corda alla dilagante schizofrenia di certi presidenti non fa il bene del calcio. Un calcio che, è bene ricordare, ha perso 16 milioni di euro per i recenti tagli che si sono abbattuti anche sul mondo dello sport. E buttare allenatori dalla finestra come se piovesse (già 10 in Serie B, con Novellino e Scienza sempre sui carboni ardenti) non aiuta di certo ad abbassare i costi di gestione.
Gianluca Grassi