Piero Camilli, presidente del Grosseto, ha detto che (forse) lascerà il calcio. L'annuncio mi avrebbe lasciato indifferente. Ognuno è libero di fare le sue scelte. Anche quella di cambiare tre o quattro allenatori a stagione, hobby preferito di Camilli, in questo degno emulo di Zamparini. Poi ieri ho visto su Tuttosport le foto (tratte dal sito Grossetosport.com) dello show inscenato da Camilli sabato scorso durante Grosseto-Torino, sfociato in un alterco con il presidente del Torino Cairo e nel lancio di un oggetto (il comunicato ufficiale parla di monetina, Camilli sostiene essersi trattata di caramella "Rossana", famosa per il tipico incarto rosso) che ha colpito un assistente dell'arbitro. Atto che è costato al furibondo Camilli tre mesi di squalifica. Gesto che non mi può lasciare indifferente. Come giornalista, come dirigente, come genitore.
L'episodio si commenta da sé (monetina o caramella, francamente cambia poco). Non entro neppure nel merito dei (presunti) torti arbitrali che avrebbero fatto imbufalire Camilli e la cricca che, come da foto, pare sostenerlo nella protesta. Non è questo il punto. Piuttosto rilevo che, seduti a pochi metri dal presidente, ci sono parecchi bambini che assistono attoniti all'indegna gazzarra. E mi chiedo: si parla tanto di riportare le famiglie negli stadi e questo è lo spettacolo a cui pensiamo di farle assistere? È questo l'esempio di sportività e di correttezza che un presidente dovrebbe dare? È questo l'attaccamento alla maglia e ai colori della società che si richiede ai giovani? È questo il messaggio da lanciare al mondo della scuola per sensibilizzarlo nei confronti della pratica sportiva?
No, nessun torto giustifica una simile reazione. E allora spero davvero che Piero Camilli mantenga fede al suo proposito di abbandono.
Gianluca Grassi