De Laurentiis ha perso, Agnelli pareggiato, Petrucci vinto. Questa l'estrema sintesi di una delle giornate più ridicole del calcio italiano, quella in cui la sede della finale di Coppa Italia è stata messa in discussione non a inizio torneo, ma dopo la conclusione delle semifinali. Proprio come si fa nei tornei aziendali. Partiamo dalla fine: Juventus-Napoli si giocherà il 20 maggio all'Olimpico di Roma, davanti (forse, visto che il calcio non lo scalda più di tanto) al presidente della Repubblica Napolitano. Uno scenario che il patron del Napoli avrebbe voluto far saltare già da tempo, ritenendo Roma (questo il vero motivo) troppo pericolosa per i tifosi napoletani per via di vari precedenti e buttando lì in ordine sparso ipotesi tipo Londra, Parigi o la più normale Milano. Soluzione, parliamo di Milano, che alla Juventus non sarebbe dispiaciuta (risiedono più juventini in Lombardia che nel Lazio).
A questo punto è entrato in scena l'eterno presidente uscente della Lega Beretta, che si è trovato in mezzo fra la volontà delle società e la sua vocazione alla mediazione (ad essere buoni). La Lega non ha comunicato ufficialmente la scelta delle sede (che poi non era una scelta, visto che era già stata fissata a Roma) e la cosa ha fatto imbestialire il presidente del Coni, ente nel 2012 inutile ma tuttora proprietario dell'Olimpico, che ha comunicato la sua volontà di non concedere lo stadio. A questo punto telefonata accomodante di Beretta, parole pro Roma di Agnelli e freddo assenso di De Laurentiis: si giocherà all'Olimpico.
Ma questo balletto, che per qualche ora è stato l'incubo dei giornalisti dell'Ansa, ha avuto almeno un merito e cioè quello di far riflettere sulla sede della finale di Coppa Italia. Quando si è optato per la finale in gara unica a Roma (quindi dall'edizione 2007-2008) si pensava di scimmiottare la FA Cup, cioè l'unica delle coppe nazionali del pianeta ad avere un interesse paragonabile al campionato (ma nemmeno in Inghilterra è più davvero così, da molti anni), senza tenere conto delle specificità del nostro paese e di quelle dell'Olimpico. L'Inghilterra è uno stato con una tradizione millenaria, che non stiamo a ricordare su questo sito, dove mai la centralità politica e di immegine di Londra è stata mai messa in discussione. L'Italia è il paese dei Comuni, dove tutti si credono fenomeni e dove Roma è considerata dai non romani una città come tutte le altre: da amare o da detestare, secondo le situazioni, ma comunque mai più importante del proprio paesello. L'Italia calcistica è diversa dall'Inghilterra anche per quanto riguarda la composizione del tifo delle sue squadre: da noi ci sono tre club 'nazionali' e gli altri tutti 'locali', in Inghilterra il Manchester United ha più tifosi a Singapore di quanti ne abbia a Londra. E poi l'Olimpico non è Wembley, è lo stadio sì del Coni ma soprattutto di Roma e Lazio. E la cosa si è avvertita quando alla finale unica 'romana' ci sono andate squadre romane (due volte la Roma e una la Lazio), falsando la copmptezione al di là del fatto che abbiano poi vinto o perso.
Insomma, non siamo l'Inghilterra e al netto dell'esterofilia forse non è nemmeno un difetto. Quindi si può anche prendere in considerazione l'idea di cambiare sede ogni anno, con scelta concordata dalle finaliste a seconda della città disponibile oppure fissandola a inizio competizione con un criterio di rotazione.
Twitter @StefanoOlivari