Franco Spicciariello, massimo esperto di soccer USA, propone un ricordo tutto “americano” di Chinaglia, decisamente diverso da quanto letto e udito in questi giorni sui media. Lo proponiamo nella sua interezza.
Se n’è andato così, senza preavviso, lasciando in lacrime almeno tre generazioni di tifosi tra Italia e Stati Uniti. Lo ha ucciso un attacco di cuore a soli 66 anni in quel di Neaples (Florida), dove viveva da alcuni anni insieme al figlio Anthony.
Se n’è andato l’uomo, ma se n’è andata anche una leggenda dei due mondi. Giorgio Chinaglia infatti è stato a detto di tuti gli osservatori il più grande calciatore ad aver varcato gli stadi d’America, in un periodo in cui con lui nella NASL c’erano i vari Pelé, Johan Cruyff, Franz Beckenbauer, Carlos Alberto, George Best, Johann Neeskens e Gerd Muller. Ma nessuno di loro fu capace di dominare in campo e sulle pagine dei giornali come Chinaglia.
Nato a Massa in Toscana, cresciuto da emigrante con la famiglia in Galles, sposatosi con un americana – Connie Eruzione, cugina di quel Mike eroe della Nazionale USA di hockey alle Olimpiadi invernali del 198’0 – Chinaglia si trasferì ai New York Cosmos nel 1976, e da allora il soccer USA non fu più lo stesso.
L’arrivo di Pelé e Beckenbauer aveva sicuramente alzato il livello calcistico della North American Soccer League, ma Chinaglia era quello che faceva i gol, a centinaia, trascinando i Cosmos alla vittoria di quattro campionati. E se all’epoca ci fosse stato il Supporter’s Shield (titolo che va alla squadra con più punti nella regular season MLS), allora sarebbero stati sei di seguito.
Al suo arrivo in America, il top scorer di sempre della North American Soccer League era il serbo Ilija Mitic (ex Partizan Bbelgrado e Olympique Marsilglia), con 79 reti in oltre 120 partite tra il 1967 e il 1976, che poi lasciò gli USA nel 1978 con 101 gol. A Chinaglia bastarono quattro stagioni per superarlo, raggiungendo quota 102 nel 1980. Ma non si fermò lì. Al suo ritiro dal calcio giocato nel 1983 infatti i gol segnati in regular season, più altri 49 nei playoff: un totale di 242 gol in 254 partite, per una media mostruosa di 0,95 reti a partita. A inseguirlo con la maglia dei Cosmos il solo Roberto Cabanas, giovane asso della nazionale paraguaiana, a quota 73. Tanto per usare una pietra di paragone il capocannoniere della MLS, Jeff Cunningham, ha messo insieme 134 gol in 365 apparizioni. “I am a finisher,” diceva ai tempi. “Che significa che quando ho finito con la palla vuol dire che è in fondo alla rete“.
Ma Chinaglia era molto più che solo i suoi gol. Anche perché la sua stella brillava a New York in anni incredibili, quelli dello Studio 54 e della “Febbre del Sabato sera”, in cui per gli spogliatoi del Giants Staium si aggiravano tipi quali Mick Jagger e Robert Redford, che facevano la fila per farsi fotografare con le nuove stelle d’America, a cominciare proprio da Chinaglia.
Ciò era possibile anche perché alle spalle dei Cosmos c’era quel gigante della comunicazione che già allora era la Warner guidata da Steve Ross, di cui Chinaglia era diventato un grande amico e su cui aveva un’influenza ben al di la del normale rapporto tra presidente e calciatore. Non per niente “Long John” aveva il suo ufficio nel grattacielo della Warner, ed aveva il potere di vita e di morte sugli allenatori. Come quando si stufò del coach inglese Gordon Bradley e volle l’ex doriano Eddie Firmani in panchina. E il fatto che Firmani fosse sotto contratto con i Tampa Bay Rowdies non era assolutamente un problema. Specie perché la squadra vinse il Soccer Bowl, riempiendo regolarmente il Giants Stadium con punte di oltre 70mila spettatori. Ma anche Firmani durò poco. Infatti, dopo averlo sostituito una volta, finì in disgrazia, sostituito dal preparatore di Pelé, il professor Julio Mazzei. Per volontà di Chinaglia. Una volontà capace di contrapporsi persino all’immenso Pelé, con cui Chinaglia non era certo tenero e che più volte definì un ex giocatore.
Duro, diretto, incapace di tenesi quella parola in più – esattamente com’era quando giocava in Italia – nonostante i gol Chinaglia non era certo un idolo dei tifosi, che anzi spesso lo fischiavano al momento dell’ingresso in campo. Ma ad uno fischiato su tutti i campi d’Italia dopo il “vaffa” a Ferruccio Valcareggi ai Mondiali del 1974 poco interessava. E quando arrivavano i gol, tanti, i suoi festeggiamenti erano incredibili per quanto erano capaci di trasmettere una gioia incontenibile, frutto di una fame e di una voglia di riscatto profondi e comuni a quelle di tanti emigranti italiani.
A cavallo del 1980 però alla Warner Communications arrivarono i tempi brutti a causa dei problemi della società di videogames Atari, che costrinse la società a liberarsi di tutte le attività non strategiche. E così nel 1983 Chinaglia divenne proprietario dei Cosmos, quasi in contemporanea all’acquisto della Lazio, accolto d migliaia di tifosi adoranti all’aeroporto di Fiumicino. E da allora iniziò la parabola discendente, inizialmente conclusasi con il fallimento dei Cosmos (che si “dimenticarono” di chiamarlo alla reunion del 1992) e dell’intera NASL, e poi con la retrocessione della Lazio nel 1985, con l’ex centravanti biancoceleste finito a dilapidare quasi tutto il suo patrimonio nel tentativo di rilanciare la squadra.
E ora sono in molti a piangerlo, a cominciare dai suoi ex compagni.
“Giorgione mi è rimasto vicino anche dopo che abbiamo smesso di giocare, lo sentivo spesso: per me era un amico vero”. Fabio Capello è rimasto di stucco nel ricevere la notizia della morte dell’ex centravanti della Lazio e dellaNazionale. “Il gol di Wembley che ci diede la prima vittoria inInghilterra? E’ vero, nacque da una sua fuga sulla destra, io misi la palla dentro ma a pensarci adesso non me ne frega niente. Il mio ricordo va alle telefonate che mi faceva negli ultimi tempi”.
“E’ stato tristissimo sentire della sua morte”, ha dichiarato Erhardt Kapp. “Giorgio era un grandissimo cannoniere, ma ciò che era incredibile era la sua voglia di vincere. Era durissimo con sé stesso, come con la squadra e lo staff, ma lo era perché odiava perdere. Era unico, e mancherà molto a tutti“.
“Che storia triste. E’ una grandissima perdita per il calcio“, ha detto un altro ex compagno, Fred Grgurev, che aveva parlato con Chinaglia ancora giovedì scorso. “Possiamo dire di tutto di lui. Ma qui ha fatto la storia. Ma lui voleva sempre di più. Se aveva due voleva tre. Se aveva cinque voleva ancora di più. Era affamato. Sempre”.
“Avevamo grandi personalità in squadra, ma Giorgio era il numero uno“, racconta l’ex Cosmo Boris Bandov. “Era il leader della squadra. Era uno che chiedeva molto. Inevitabile che fosse un po’ egoista essendo un centravanti, ma era il miglior capitano che si potesse avere. Era uno che voleva sempre il massimo. Se eravamo in un hotel voleva sempre il vino migliore, il cibo migliore“.
Domenica, col Tottenham impegnato in casa dello Swansea City – dove Chinaglia iniziò la sua carriera nel 1964 con l’allora Swansea Town, anche il manager degli Spurs Harry Redknapp ha voluto ricordarlo, avendolo conosciuto negli anni passati nella NASL con la maglia dei Seattle Sounders. “Era un personaggio incredibile. Ricordo di una sotria di quando era con i Cosmos. Dovevano giocare in Florida, e l’allenatore Eddie Firmani disse prime del match: Stasera non esce nessuno, siamo qui per una partita importante, e chiunque proverà ad uscire avrà una multa da mille dollari”. E Giorgio allora disse: ”OK, chi esce stasera?’ Cinque mani si alzarono, e tirò fuori dalla tasca $5.000” – ha raccontato Redknapp al Guardian mimando l’atto di tirar fuori dalla tasca una mazzetta di banconote – “e le diede a Firmani“.
Grande rispetto. Quello che gli tributavano anche gli avversari per il suo comportamento leale in campo. In un match contro i Rochester Lancers, nel 1979, con i Cosmos in ampio vantaggio il difensore peruviano Santiago Formoso si sedette irrispettosamente su pallone, causando la reazione dei tifosi sugli spalti, inferociti. E Bandov ricorda di come Chinaglia si fece tutto il campo di corsa “per dargli un calcio nel sedere per la mancanza di rispetto verso i tifosi avversari“.
All’avvento della Major League Soccer Chinaglia era alquanto scettico, anche perché impegnato ad organizzare amichevoli internazionali su suolo americano insieme al suo partner Charlie Stillitano, uno dei fondatori dei NY MetroStars. Nel 2006 aveva però cambiato idea, e chiese al suo amico Franz Beckenbauer di aiutarlo per andare a collaborare con il proprietario della Red Bull’austriaco Dietrich Mateschitz, che aveva appena comprato il team di NY rinominandolo Red Bulls. Ma non se ne fece nulla. E giù di nuovo addosso alla MLS.
“A guidare la lega ci sono degli incapaci che non hanno la più pallida idea di cosa stiano facendo” disse BigAppleSoccer.com nel 2006. “C’è gente che pensa che il front office sia più importante del prodotto sul campo. ma com’è possibile? Non si è mai sentito. Gli attori sono i giocatori. E non ce n’è uno tra i 50 che lavorano negli uffici della MLS ad essere mai sceso su un campo di calcio. Nemmeno uno! Devono cambiare modello“.
Innamorato com’era di New York poi sul team della Grande Mela era ancora più duro. “La gente di New York City non ha certo voglia di vedere giocare ragazzi da college. ma lo capiscono questo? Questa è New York, non parlo di altre città. A New York devi dare il meglio. Se tu dai il meglio allora la gente viene allo stadio” Poco dopo arrivarono prima Juan Pablo Angel e poi gli ex Barça Thierry Henry e Rafa Marquez, e la gente iniziò a riempire la Red Bull Arena. Forse qualcuno aveva ascoltato Giorgio Chinaglia.
Il dopo preferiamo dimenticarlo, quello che è stato Giorgio Chinaglia lo si è visto sui campi di calcio, dove – come è stato scritto in America – “He was the show and the showman“.
(a cura di Franco Spicciariello)