Per Cesare Prandelli la buona stampa è fondamentale, visto il materiale umano a disposizione, così in attesa dell'Europeo ed in assenza del previsto stage ha deciso di guadagnarsi facili consensi mediatici sostenendo che 'L'omofobia è razzismo, è indispensabile fare un passo ulteriore per tutelare tutti gli aspetti dell'autodeterminazione degli individui, sportivi compresi. Nel mondo del calcio e dello sport resiste ancora il tabù nei confronti dell'omosessualità, mentre ognuno deve vivere liberamente sè stesso, i propri desideri e i propri sentimenti'.
Frasi scritte nella prefazione del nuovo libro di Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano, 'Il campione innamorato. Giochi proibiti dello sport', in libreria da giovedì. Intendiamoci: Prandelli ha ragione al 100% riguardo alla realtà del calcio e ogni forma di discriminazione andrebbe bandita non solo dagli stadi. Il problema è che non si tratta solo una questione di battutine nello spogliatoio, ma di tutto un sistema di comunicazione basato sull'esaltazione di valori per 'veri uomini' in contrapposizione a quello delle 'signorine' o dei 'senza palle'. Fa bene Prandelli a parlarne, insomma, al di là della furbizia mediatica dell'operazione (non a caso tutte ma proprio tutte le reazioni sono state positive), ma non è con il coming out di qualche campione (la statistica è scontata: 2 o 3 gay in un rosa di 25) che si cambia un linguaggio. Anzi, si rischia solo di esporre al pubblico ludibrio persone che non hanno alcuna voglia di fare i martiri della cultura omosessuale.
Detto questo, molti giocatori di serie A dichiaratamente omosessuali hanno un aspetto e un modo di giocare 'guerriero' che potrebbe in qualche modo scardinare lo stereotipo, ma diciamo con chiarezza quello che non ci piace dell'impostazione cecchipaoniana e di tanti giornalisti gay: pensano di civilizzare le masse dando in pasto qualche aneddotto e qualche allusione su atleti omosessuali che non vogliono essere testimonial di alcunché ma solo essere lasciati in pace. Volutamente quindi ci sottraiamo al giochino del 'chi è' e alla solita autoflagellazione del calcio: ambiente che non è più retrogrado (secondo il postulato che l'omosessualità sia 'avanzata', beninteso) del nostro ordinario ufficio. Conclusione? Prandelli, anche al netto della furbizia (che coraggio ci vuole a fare un'affermazione che non verrà criticata da alcuno?), ha fatto bene. Ma non tocca al calcio risolvere i problemi della società che lo circonda, di cui è al massimo una rappresentazione in costume.
Stefano Olivari, 24 aprile 2012