Fra le meraviglie del calcio, c’è la forza del risultato. C’è chi vince e c’è chi perde. Ha vinto la Juve. E nel mio piccolo, piccolissimo, ho perso anch’io, dubbioso sul possibile successo finale dei bianconeri. Intuivo che il Milan - poi appesantito in modo decisivo dagli infortuni - avrebbe faticato a bissare il successo dell’anno precedente. E che l’Inter, con giocatori sempre più vecchi e giovani non all’altezza, avrebbe incontrato parecchi problemi, puntualmente sopraggiunti. Per questo, come auspicio di novità, a settembre dissi Napoli, senza immaginare che la squadra di Mazzarri avrebbe conquistato gli ottavi di Champions e la finale di Coppa Italia.
Invece ha vinto la Juve. Hanno vinto i suoi milioni di tifosi. Da sei anni aspettavano questo benedetto giorno. Non semplicemente per gioire, come era successo tante altre volte, ma per liberarsi dal dolore di una ferita subita. Un senso di sopruso che la Juve non aveva mai provato nella sua secolare storia, nato all’indomani della cacciata in Serie B. Con questo trionfo si chiude la stagione di Calciopoli, in modo più netto di quanto sia riuscito ad alcune, ambigue sentenze sportive.
Hanno vinto sul mercato e in società Andrea Agnelli, Beppe Marotta e Fabio Paratici, bravi a ricostruire dalle macerie, a non scoraggiarsi di fronte agli insuccessi dell’edizione precedente e a trovare, da ultimo, l’allenatore ideale. Soprattutto ha vinto lui: Antonio Conte. Poche volte, nella storia del calcio italiano, un allenatore aveva inciso quanto il leccese in questo successo della Juve, ventottesimo ufficiale (a proposito, aspettiamo che la Federcalcio dica qualcosa sugli scudetti 1908 e 1909 riportati a galla da Carlo F. Chiesa). Conte ha fatto tutto nel migliore dei modi. A partire dall’ingresso nello spogliatoio, che era stato il suo punto debole ai tempi dell’Atalanta. Quindi ha saputo motivare al massimo il gruppo, trasmettendo fiducia e identità, doti che a Torino parevano smarrite. Ha lavorato sull’orgoglio, sulla sete di riscatto, sul sentimento juventino, rinvigorito pure dal nuovo stadio, non a caso giunto nella stagione di giubilo. E alla fine, in un mix tra squadra e pubblico, tra dirigenza e simboli perduti, ha risollevato un ambiente depresso. Nei momenti difficili, ha mostrato persino il volto duro e arcigno della Juventus “peggiore”, quella che non inseguiva amici e alleanze, bensì solo vittorie. Si è buttato dentro le polemiche con Allegri per non cedere il punto, per non arretrare di un centimetro. Si è speso in tutto: voce, polmoni, idee.
Sul campo ha completato il suo capolavoro. Ha rigenerato giocatori come Barzagli, Chiellini e Bonucci, quasi impresentabile la scorsa stagione. Facendo correre la squadra per tutto l’anno e senza gli infortuni del passato. Ha fatto di Pirlo il miglior centrocampista della Serie A, forse d’Europa, dopo che il Milan lo aveva frettolosamente liquidato. Ha spinto Marchisio verso i molti gol e verso la consacrazione come centrocampista azzurro del futuro. Ha tradotto la grinta di Vidal in punti in classifica. Da ultimo, ha preso il meglio di Vucinic, che non dispensa mai la sua classe, al massimo la distilla. E ha ottenuto da Del Piero ciò che serviva al momento giusto. Quando l’allenatore ha avuto bisogno della zampata decisiva, ha rimesso in campo Pinturicchio. E il campione, rimasto sin lì in silenzio, ha parlato.
Conte ha anche cambiato tattica, passando dalla difesa a 4 a quella a 3, spiegando che l’integralismo era di chi lo giudicava, non il suo. In questo modo ha zittito tutti. Ero in buona, anzi in ottima compagnia in estate. Per Claudio Ranieri «la Juve prima o poi tornerà grande». Per Lippi avrebbe vinto il Milan, «perché ha qualcosa in più insieme al Napoli». Secondo Iachini alla Juve servivano innesti e per Mario Beretta le novità erano un’incognita. Ibrahimovic giurava sul Milan, idem Javier Zanetti, Delio Rossi definiva Madama il classico «cantiere aperto». E Sacchi non aveva dubbi: «Il Milan ha tutto per vincere». Persino l’agenzia di scommesse dava Madama al doppio delle milanesi. Ha vinto la Juve. E ora parla solo lei.