Abbiamo sempre considerato Silvio Berlusconi di un altro pianeta rispetto ad Agnelli (uno qualunque degli Agnelli, Avvocato compreso) e a Moratti (Massimo), come presidente di calcio e imprenditore. Uno che ha creato la sua fortuna con le proprie mani, invece di ereditarla senza alcun merito. Uno che per molti versi è rimasto un outsider 'dentro' e che proprio per questo nei giudizi divide al contrario degli altri che per i media e anche un certo tifo da bar sono inevitabilmente 'signori'. Uno che raramente, rimaniamo nel calcio, ha sbagliato le scelte importanti o non ha avuto chiare le strategie di fondo. Ecco, quel Berlusconi adesso è morto e non certo perché gli manchino soldi da buttare nel Milan nella stessa misura in cui li ha buttati nell'ultimo quarto di secolo. Il fatto stesso che spieghi ai tifosi del Milan, delusi più dalla mancanza di chiarezza che dalle cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva, che la società seguirà il modello Barcellona significa prima di tutto non conoscere la realtà del settore giovanile rossonero. Modesta sia a livello di risultati che di giocatori di prospettiva. Da poco ci si è tornati a investire, dopo decenni di disinteresse, anche se la logica è un po' sempre quella del dare un contentino all'ex campione (Inzaghi alla guida degli Allievi rientra in questo filone) in modo da tenerlo lontano dalla stanza dei bottoni. Ma i risultati, a livello di prima squadra, non si vedranno prima di quattro o cinque anni ed in ogni caso nessuno, nemmeno il Barcellona, può avere la certezza che lavorando bene crescano nuovi Xavi e nuovi Iniesta. Certo è che nel 1986 Berlusconi trovò servita, dal vituperato Giussy Farina, quella che per anni sarebbe stata la miglior difesa del mondo: Tassotti, Filippo Galli (o Costacurta), Baresi, Maldini, più ottimi comprimari (Evani) e adolescenti che di lì a poco sarebbero esplosi, come Demetrio Albertini. In quel contesto ogni inserimento sembrava geniale, dal livello Van Basten a quello Mannari. Poi, quando quella generazione era in via di esaurimento, sono arrivate campagne acquisti azzeccate e costose a regalare un altro decennio di gloria: dall'acquisto di Shevchenko (1999) a quello di Kakà (2003), Berlusconi ha speso tantissimo e anche bene visto il rendimento medio in Champions League. Ad essere cambiata, in questo nuovo inizio di ciclo, è proprio la base su cui inserire i nuovi acquisti (peraltro tristi, Montolivo a parte): pensionati quasi tutti i vecchi, del Milan vincente non rimane quasi niente nemmeno a livello umano e la recente intervista di Gattuso rende bene l'idea. Insomma, non è vero che Berlusconi si trova di fronte la stessa situazione di 26 anni fa. Adesso è molto, ma molto peggio. Perché non c'è quel nucleo storico di campioni costruiti in casa ed anche perché i tifosi hanno negli occhi un quarto di secolo di vittorie. Per non dire che il Berlusconi del 1986 aveva un'energia e una capacità di guardare avanti che il Berlusconi di adesso non ha più. E quindi? Non crediamo a una vendita del Milan, anni fa c'era un mezzo discorso Ligresti ma anche i Ligresti non sembrano in gran forma, tantomeno a una svendita, ma ad un onesto tran tran italiano fino a quando il vero ideologo degli anni Ottanta italiani uscirà di scena.
Twitter @StefanoOlivari