Sandro Mazzola compie 70 anni: per sua fortuna non ha avuto bisogno di morire giovane per entrare nella memoria collettiva dell'Italia calcistica, rimanendo in ottima salute in quel Pantheon calcistico-generazionale di cui fanno parte anche Dino Zoff, Gianni Rivera, Gigi Riva e Giacomo Bulgarelli (l'unico ad averci lasciato). Saltiamo a piedi pari le celebrazioni di un campione e di un uomo la cui carriera si commenta da sola e andiamo subito all'unicità di Mazzola Sandro. Sì, Sandro. Perché per quanto riguarda il calcio il suo problema non è stato tanto Rivera quanto l'essere figlio dell'immenso Valentino, il prototipo del calciatore totale in un'epoca in cui anche i fuoriclasse avevano ruoli ben definiti e limitati. In una squadra come il Grande Torino, oltretutto, che nell'Italia della ricostruzione contava quasi come Coppi e Bartali. Solo sfiorato in vita (i genitori erano separati e la tragedia di Superga avvenne nel 1949, quando Sandro aveva 7 anni), Valentino Mazzola è stato un'ombra sulla carriera del figlio almeno fino a quando non sono arrivate le due Coppe dei Campioni e tutto il resto con l'Inter di Moratti padre: è stato lì che 'Mazzola' è diventato Sandro, almeno per quelli della sua generazione e di quelle immediatamente seguenti. Insomma, come per Paolo Maldini (ma, con tutto il rispetto, Cesare Maldini storicamente ha contato meno di Valentino Mazzola) e pochissimi altri, un figlio d'arte che ce l'ha fatta in uno dei pochi settori della vita italiana, il calcio, in cui essere 'figli di' non conta. Per molti, sicuramente per i giovani che magari lo hanno scoperto attraverso 'Sfide' o qualche telecronaca , l'ombra su Mazzola è stata quella di Gianni Rivera, ma è un discorso che non regge: Rivera giocava in un altro ruolo (Mazzola ne ha cambiati diversi, passando da attaccante velocissimo a interno di centrocampo), nel Milan era molto più leader di quanto non lo fosse Mazzola nell'Inter (anche perché maggiore era la distanza, culturale e tecnica, con i compagni), in Nazionale aveva meno spazio anche perché meno diplomatico. Poi sul valore assoluto si può discutere (secondo noi, schiacciamo il tasto bar, era più forte Rivera), ma questo non toglie che in entrambi i casi si tratti di campioni con una caratterizzazione così marcata da diventare personaggi anche nell'era della televisione in bianco e nero (con due canali). Non è un caso che le vite dirigenziali, parliamo di calcio, di entrambi siano state difficili: con Berlusconi Rivera è durato mezzo secondo, mentre, dopo il buon rapporto con Fraizzoli e quello cattivo con Pellegrini, con Moratti qualche anno è durato Mazzola, prima di essere salutato in maniera inspiegabile (praticamente l'unico caso, fra gli ex della Grande Inter). Uomini così sono ingombranti, perché si sono guadagnati il consenso popolare con i fatti e con l'esempio. Non è vero che non esistono più le bandiere, fra i calciatori di alto livello, Del Piero (19 anni con la Juventus) e Totti (all'infinito con la Roma) stanno a dimostrarlo, è però vero che nell'Italia calcistica di quaranta anni fa, quella paternalistica del vincolo e di tante altre cose per fortuna spazzate via, le bandiere erano anche icone generazionali oltre che sportive. Per questo ci sembra incredibile, anche se lo abbiamo conosciuto solo nel finale di carriera, che Sandro Mazzola abbia già 70 anni.