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Daspo ad Arcidiacono: perché?

Redazione

21 novembre 2012

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Da un paio di giorni rifletto su quanto è accaduto domenica scorsa sul campo di Lamezia Terme. Per chi non avesse seguito la vicenda, mi riferisco alla stolta esultanza di Pietro Arcidiacono dopo la rete-vittoria del 4-3. L’attaccante del Cosenza è corso verso la panchina e lì - conservata da qualcuno dello staff - ha mostrato la maglietta incriminata: «Speziale innocente». Antonino Speziale, anche qui per i pochi che non lo sapessero, è uno dei due tifosi del Catania condannato per l’omicidio dell’agente di polizia Filippo Raciti. Esprimo subito la mia idea: è stata una solenne cazzata. Perché ogni opinione, qualunque posizione - persino la più discutibile - va espressa in altre forme. Magari un’intervista, magari una riflessione in pubblico, magari una lettera di vicinanza alla famiglia del reo se è vero, come ho letto nelle penose scuse successive del giocatore, che Arcidiacono la conosce bene. Farlo con quella maglietta, come se si parlasse della nascita di un figlio o del saluto a un parente deceduto, l’ho trovato stonatissimo. Premesso tutto questo, ritengo che il Daspo di tre anni per il giocatore sia sproporzionato e insensato. Per quale ragione un Questore deve elevarsi a giudice del pensiero altrui? La maglietta in questione, condannabile da un punto di vista emotivo, non contiene nessuna calunnia. Non si lega al cordoglio e al dolore per la scomparsa del poliziotto, ma prende le difese di una persona condannata in tribunale per quell’episodio. Sono cose differenti. In uno Stato di diritto, chiunque si può esprimere per l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno, anche se esiste una sentenza. Altrimenti non capisco perché per anni il cenacolo intellettuale italiano abbia perorato - con tanto di pamphlet - l’innocenza di Adriano Sofri, malgrado le condanne definitive ricevute in ogni grado di giudizio per l’assassinio di Calabresi. Uno può ritenere che non sia stato Speziale a uccidere in quella tragica notte il povero Raciti. Tra l’altro, Arcidiacono non è neanche l’unico a pensarla in questo modo. Si dibatte nel mondo delle idee se sia giusto o no carcerare chi nega l’Olocausto, direi che questo è un ambito ben più ristretto, dentro al quale non può entrare solamente un Questore. La manifestazione del libero pensiero è roba costituzionale, materia delicatissima e straordinaria, che non possiamo lasciare in mano a nessun Tribunale, figurarsi a un Questore. L’articolo 6 della legge varata nel 1989 sul Daspo parla di incitamento alla violenza. Ripeto: non lo ravvedo in quella bislacca, stupida maglietta. Non ho un’idea definitiva. Ma credo che se ne debba quantomeno parlare. Mi aiutate a capire?

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