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Redazione

28 novembre 2012

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Italia-Brasile del 5 luglio 1982 vincerebbe a mani bassi il sondaggio di 'partita della vita' per chi all'epoca era giovane. Una partita da ricordare con tenerezza, così come il tifo senza se e senza ma per la Nazionale a prescindere dai club di appartenenza dei convocati. Forse l'unica partita della storia del calcio in cui si è stati davvero dispiaciuti, al di là del finto fair play che esiste anche ai giorni nostri, per la sconfitta del presunto avversario. Una partita che non finirà mai e che torna prepotente quando meno te la aspetti, senza bisogno di una puntata di Sfide. L'ultimo a riaprire la ferita, perché è stata una ferita anche per noi italiani, è stato il grande Zico nel giorno del suo addio alla panchina della nazionale irachena: "Il Brasile aveva una squadra fantastica, riconosciuta in tutto il mondo, ovunque andiamo la gente ricorda quel team del 1982. Se avessimo vinto quella partita, il calcio probabilmente sarebbe stato differente. Invece, dopo di allora cominciammo a mettere le basi per un calcio nel quale bisogna conseguire il risultato a qualsiasi costo, un calcio fondato sulla distruzione del gioco avversario e sul fallo sistematico. Quella sconfitta non fu positiva per il mondo del calcio. Se quel giorno avessimo segnato cinque reti, l'Italia ne avrebbe segnate sei, perché trovavano sempre il modo di capitalizzare i nostri errori". Amiamo Zico e la sua idea di calcio, sognando di vederlo sulla panchina del Brasile fra due anni per prendersi tutte le rivincite possibili. E' poi vero che quella partita, ma in parte anche Germania Ovest-Francia semifinale di quello stesso fantastico Mondiale, è diventata quasi un luogo comune per giustificare la tattica di allenatori che non osavano far usciore la squadra dalla propria metà campo. Non è però vera l'equazione Italia 1982 uguale difensivismo. E non solo per la genesi dei tre gol di Paolo Rossi (il primo finalizzando di testa un'azione manovrata partita da Bruno Conti e proseguita con un cross di Cabrini, il secondo sfruttando un passaggio sbagliato degli avversari ed il terzo sugli sviluppi di un'azione da calcio d'angolo), ma per tutto lo sviluppo della partita, dove il Brasile ebbe sempre in mano il pallino del gioco ma senza mai schiacciare gli azzurri: la famosa parata di Zoff sulla linea di porta, quella al novantesimo su colpo di testa di Oscar, fu anche l'unica parata difficile di quel pomeriggio al Sarrià (come altre super-occasioni solo un tiro a lato di Serginho libero davanti al portiere). E quindi? Il 'nostro' Mondiale avrebbe dovuto essere Argentina 1978, mentre se esistesse un dio del calcio quello del 1982 sarebbe dovuto essere della meravigliosa (sia pure per cinque partite, fra cui quelle contro le modeste Scozia e Nuova Zelanda) di Telé Santana. Ma il calcio e la vita sono ingiusti, anche se non lo accetteremo mai. Un Brasile campione del mondo a casa propria, 64 anni dopo Schiaffino-Ghiggia e 32 dopo Paolo Rossi, con il Galinho in panchina, sarebbe troppo bello e troppo giusto. E infatti non accadrà, visto che per il dopo Mano Menezes la CBF ha come favorito Scolari: non esattamente l'idea di calcio di Telé Santana, di Zico e di chi ama il Brasile.

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