Roberto Baggio si è dimesso da presidente del Settore Tecnico della Figc, dopo due anni e mezzo da sopportato speciale e annunciandolo in un'intervista al Tg1. Sopportato negli ultimi mesi anche da parte del presidente federale Abete, che lo ha sempre considerato (a ragione) il miglior uomo immagine del calcio italiano nel mondo e presso il grande pubblico, quello che non discute per mesi su un fuorigioco ma sa distinguere le emozioni dal compitino. Baggio era però sopportato soprattutto dalle persone alle quali avrebbe dovuto dare un indirizzo tecnico e per così dire ideologico, cioé gli allenatori italiani. La maggioranza silenziosa non accettava che in questo ruolo ci fosse un ex campione con zero esperienza in panchina (e dopo 6 anni di totale lontananza dal mondo del calcio, dopo avere chiuso con la maglia del Brescia nel 2004), uno che non a caso e con una certa caduta di stile ha preso il patentino proprio da presidente del Settore Tecnico (e dopo aver provato a farselo dare d'ufficio). Peccato che i non allenatori al vertice del Settore Tecnico non manchino sia nel passato (basti pensare a Massimo Moratti) che nel futuro (probabile che il dopo-Baggio sia Giancarlo Antognoni), quindi è evidente che l'antipatia per Baggio nasca anche da altri fattori. Prima di tutto dalla sua scarsa presenza a Coverciano, poi dal suo principale progetto di riforma del calcio italiano basato più sulla formazione dei ragazzi che su quella dei tecnici. Un programma che Abete ha finto di prendere in considerazione, prima di accettare con un certo sollievo le dimissioni di Baggio. Chiudendo una vicenda in cui hanno torto un po' tutti. Ha torto la federazione perché sapeva benissimo che Baggio era una 'figurina' nel senso paniniano del termine, di grande prestigio ma anche di zero esperienza come allenatore e a maggior ragione come formatore di allenatori. Una figurina che nell'estate 2010, dopo il fallimento degli azzurri di Lippi al Mondiale sudafricano, era però funzionale a generare fiducia nel futuro e buona stampa nel presente. Ha torto Baggio perché il suo dopo-calcio giocato è stato tutto incentrato sui suoi affari personali e sulla costruzione del proprio monumento, belle cose ma che mal si conciliano con un lavoro oscuro e per molti aspetti anche noioso. Voleva rientrare in qualche modo nel calcio, senza rischiare la faccia, adesso che l'ha fatto forse si sente pronto per nuove sfide. Non è improbabile che possa venire usato da qualche club, magari anche fuori dall'Italia, in cerca di un parafulmine. La comunicazione non è mai stata il suo forte, anche se il suo mito è nato anche dall'essere fuori dal 'giro', però chi lo conosce bene giura che ha tanta voglia di allenare, come provato anche dalla mezza disponibilità data qualche settimana fa al Vicenza. A frenarlo il fatto che mentre un giocatore, anche della Juventus, del Milan o dell'Inter, può in certi casi (come il suo) essere un personaggio trasversale, per stile anche fuori dal campo, l'allenatore è invece necessariamente un personaggio di parte: uno che deve dare la carica, che non deve limitarsi ai fatti suoi. E Baggio per carattere e cultura può accettare le sconfitte, ma non l'ostilità preconcetta.
Twitter @StefanoOlivari