I diritti televisivi e la loro ripartizione sono uno dei tanti elementi che falsano il calcio italiano di serie A, essendo la principale fonte di ricavi (in certi casi oltre il 70%) per grandi, medi e piccoli club. Se ne è accorto anche l'Antitrust, che attraverso il suo presidente Pitruzzella ha sollecitato una modifica in direzione del merito, cioé della classifica dell'ultima stagione sportiva. E' facile sparare contro i dirigenti del calcio (ancora più facile farlo contro allenatori e giocatori, che almeno non chiedono al direttore il tuo licenziamento), i motivi per farlo non mancano, ma forse Pitruzzella ignora che l'attuale ripartizione non è stata decisa dai club cattivi ed egoisti ma dalla legge Melandri. Una legge ai confini... dell'illegalità, visto che entra nel merito delle decisioni imprenditoriali di un'associazione di aziende private, quale è la Lega di serie A presieduta dall'impalpabile (ma con un suo perché, come si evince dal nome dei vicepresidenti) Maurizio Beretta. La legge prevede, semplificando, che il totale dei diritti televisivi venga ripartito al 40% in parti uguali fra i club, al 30% in base al bacino di utenza (dando un peso maggiore al numero dei sostenitori totali, in base a discutibili indagini di mercato, rispetto alla popolazione delle città: in pratica un sistema che favorisce Juventus, Inter e Milan rispetto a Napoli, Roma, Fiorentina, Genoa, eccetera) e il 30% in base ai risultati sportivi: non secondo l'idea dell'Antitrust, ma dando un peso decisivo ai risultati del passato remoto (addirittura del Dopoguerra!) e recente (ultime cinque stagioni). In estrema sintesi: la legge Melandri non ha cambiato lo squilibrio nella distribuzione delle risorse e non si intravvede all'orizzonte un Abramovich che si innamori del Chievo e provi a rimescolare le carte. Perché il non detto di tutta la vicenda è che le proporzioni del tifo non sono un dato scolpito nella roccia, ma nel medio periodo possono cambiare in base ai risultati e ai campioni ingaggiati: per gli anziani non c'è speranza, ma quanti hanno cambiato squadra da bambini in base alle suggestioni del momento? C'è chi è diventato juventino per Platini, milanista per Van Basten, interista per Ronaldo. Pensare che per l'eternità tre club si tengano quasi l'80% dell'interesse degli italiani è assurdo, non a caso lo scrivono quelli bravi a tutelare i loro interessi. Se no è più trasparente fare come nella Liga: contrattazione privata, Real e Barcellona che si prendono quasi tutti e il resto che conta quasi zero se non dentro le proprie mura. Poi la classifica dell'ultima stagione non premia certo il Pescara o il Bologna, ma continuando su questa strada si toglie anche la speranza di migliorare. Cioé la base ideologica delle tanto citate leghe americane, mentre in Europa con varie gradazioni (il male non è solo in Italia) la mobilità sociale può essere indotta solo dal classico ricco, ma ricco vero, che mette i soldi.