Alex Schwazer potrà essersi dopato, ma non è di sicuro il peggior dopato dello sport italiano. Però si è preso dalla giustizia sportiva una squalifica quasi doppia (tre anni e mezzo contro i due standard) rispetto al classico dopato 'scoperto' da test o da testimonianze, che non confessa ma prende e porta a casa sperando che 24 mesi passino presto e che 'dopo' possa comunque in qualche modo sfruttare il condizionamento fisico del 'prima' (il principale argomento a favore delle squalifiche a vita è questo, soprattutto quando si parla di costruzione muscolare). Perché tanta severità del Tribunale Antidoping nei confronti di un atleta reo confesso, sia pure reticente riguardo alle responsabilità di altri? Prima di tutto a sfavore del 28enne Schwazer, campionissimo della marcia (oro olimpico ai Giochi di Pechino 2008 nella 50 chilometri, doppio bronzo ai Mondiali, argento europeo) prima che provasse a fermare il declino non con laureee tarocche ma con l'Epo, ha giocato la notorietà. La sentenza esemplare deve generare titoli di giornale, pazienza se è ingiusta. In secondo luogo il campione di sport individuali quando si trova nei guai non ha le difese 'sociali', territoriali (non ci sembra che Vipiteno sia scesa in piazza) e diciamo pure mafiose che hanno quelli degli sport di squadra, non solo il calcio. Infine una pena così dura ha il chiaro significato di essere 'trattabile', nel senso che se Schwazer rivelasse qualcosa di più sul giro che che lo ha portato ad avere il frigorifero pieno di Epo (all'insaputa, tipo Scajola, della fidanzata Carolina Kostner) di sicuro la pena verrebbe ridotta. Già il fatto che la scadenza sia il 30 gennaio 2016 è un chiaro messaggio: vogliamo che tu vada ai Giochi di Rio, adesso collabora. Per modalità di conservazione e somministrazione è impossibile che un atleta, per quanto esperto, possa fare tutto da solo con l'Epo. Da lì in poi sono tutte congetture, con il nuovo CONI di Malagò chiamato alla sua prima vera prova di 'novità'. Perché se Schwazer parlasse le scoperte potrebbero non essere piacevoli per CONI e FIDAL, al di là del piacere di vedere il marciatore a Rio. Cosa a cui peraltro lui non pensa, non avendo ancora superato quella nausea da atletica e quella depressione che sono state le cause primarie del suo declino e del suo doping.