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Redazione

21 maggio 2013

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Mario Balotelli è passato nel giro di pochi mesi dal ruolo di bad boy a quello di simbolo non solo calcistico dell'Italia che guarda al futuro. Miracoli di quel che rimane (tanto, anche oggi) del potere mediatico del Milan, che non riesce più a impedire a Biscardi di dare una notizia (anche se la vera notizia è che il Processo esista ancora, su Sette Gold e a 33 anni dalla sua nascita su RaiTre: non lo sapevamo) ma che al giornalista medio, quello del genere 'Il Milan è una famiglia' che impera soprattutto in tivù, fa ancora un certo effetto. Il nuovo Balotelli, quello infallibile dal dischetto del rigore (6 rigori su 12 gol in rossonero) e fuori dal campo perché le discoteche di Milano al contrario di quelle inglesi migliorano le performance fisiche, pensa di poter di godere di un privilegio negato ai colleghi di ogni razza: l'esenzione dagli insulti della parte peggiore dei tifosi avversari. Così a Campo di Marte le grida becere di non più di una cinquantina di tifosi della Fiorentina, che ce l'avevano più con la modalità di qualificazione Champions del Milan che con Balotelli, si sono trasformate nel solito circo del genere 'allarme razzismo'. Con suscettibilità variabile, a seconda della categoria e del personaggio (perché poi nell'occasione gli insulti se li è presi anche Robinho, che non è di Goteborg, solo che i buu per il brasiliano non erano razzisti). Precisato che secondo noi non si deve insultare nessuno e che lo stadio (meno che mai una stazione ferroviaria) non deve essere considerato una valvola di sfogo per le frustrazioni della vita quotidiana, senza bisogno di citare le parole equilibrate del ministro Kyenge e di Zeman il problema è che Balotelli si sta convincendo che il colore della pelle possa rappresentare un'esenzione non solo dagli insulti (quella dovrebbe prescindere dal colore) ma anche dalle critiche. Il problema bis è che, annusata l'aria mediatica, tutti i maestri delle pubbliche relazioni (Prandelli in testa) hanno colto al volo l'occasione per il temino.

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