Rudi Garcia è l'ultima dimostrazione, come del resto lo sarebbe stato il furbo (ma non troppo) Allegri, che alla Roma si preferisce in genere mettere in panchina gente che con l'ambiente abbia poco a che fare. L'allenatore romano, puro come Mazzone, di adozione come Zeman, o per passato calcistico come sarebbe stato Montella, in genere non funziona o comunque viene ritenuto (da dirigenti anche con filosofie diversissime) non in grado di reggere a pressione di una città che vive di calcio parlato e che ha stritolato non solo 'romani' ma anche santoni stranieri alla Carlos Bianchi. Garcia, quindi. Faccia da sergente di ferro ma tatticamente uno non molto diverso da Luis Enrique o Zeman: 4-3-3 di base e grande lavoro chiesto ai laterali difensivi e alle due punte esterne. Come allenatore la squadra della sua vita è ovviamente il Lille della stagione 2010-11, che conquistò Ligue 1 e Coppa di Francia. Dove a centrocampo il centrale Mavuba era molto più basso rispetto ai due compagni di reparto, situazione che potrebbe piacere a De Rossi, mentre i due attaccanti esterni (a destra Gervinho, ora all'Arsenal, e a sinistra Hazard ora al Chelsea) erano sostanzialmente svincolati da compiti di copertura. La chiave del suo gioco è di sicuro Mavuba, ripetiamo. Per dirla in italiano, Garcia (chiamato Rudi in onore del campione tedesco di ciclismo Altig) potrebbe essere etichettato come offensivista. O anche come mini-Mourinho, per la capacità di portare il pubblico dalla sua parte e per come difende i suoi giocatori. Nato come soluzione di ripiego dopo il gran rifiuto di Allegri e di vari altri, potrebbe essere davvero l'uomo giusto. Non è certo un allenatore da scoprire, ma da ogni suo atteggiamento si capisce che è in cerca di un grande palcoscenico. L'ha trovato. Adesso basta che non cedano gli attori migliori.