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Redazione

18 luglio 2013

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La ventisettesima edizione delle Universiadi, che si è chiusa proprio ieri a Kazan con una cerimonia da pelle d'oca (in particolare l'esecuzione dell'jnno russo è stata la più coinvolgente nella storia dello sport, anche sovietico visto che con parole mutate si tratta della stessa cosa), non è purtroppo stata molto seguita in Italia. Pochi trafiletti su giornali che svolgono la loro funzione esaltando goleade contro nessuno, copertura televisiva solo grazie ad Eurosport nonostante tanti azzurri di buon livello presenti: 44 medaglie, di cui 6 d'oro, nono posto nella classifica per nazioni. Un peccato, per una manifestazione che all'Italia deve tanto: non fosse altro che perché fu ideata da Primo Nebiolo, in seguito controverso ma comunque grande presidente dell'atletica mondiale, con la prima edizione che si tenne a Torino nel 1959. Eppure Kazan 2013 è stata importante, perché al di là delle varie gare ha sottolineato varie tendenze dello sport mondiale. 1) Le grandissime manifestazioni sportive costano quanto una manovra finanziaria salva-stati: a Kazan sono stati spesi non meno di 700 milioni di euro, nonostante le migliaia di volontari a titolo gratuito e i costi delle infrastrutture imputati allo stato. Ormai anche la snobbata (da noi, ma non solo: gli Stati Uniti hanno mandato le squadre B o C in quesi tutte le discipline) Universiade ha costi da Olimpiade. 2) Nel terzo millennio le organizzazioni in grande stile sono, con rare eccezioni, appannaggio di stati totalitari, autoritari, democratici con l'asterisco (come la Russia) o democratici ma etichettati come emergenti (Brasile). Mentre i paesi secondo la nostra visione 'civili' sono costretti a puntare su sostenibilità, ecologia, eccetera (in questo senso i Giochi di Londra sono stati un miracolo, rapportati all'epoca), quelli dove magistratura e movimenti 'nimby' (Not In My BackYard, in pratica 'Vicino a me non si deve costruire niente, ma solo conservare') contano poco possono permettersi il gigantismo sia sul piano finanziario che su quello culturale. 3) L'Universiade è ormai diventata una mini-Olimpiade, l'ipocrisia di limitarla ad atleti universitari (spesso finti, come universitari) è diventata funzionale a far rivivere lo spirito olimpico delle origini. Con numeri però da Giochi moderni. A Kazan erano rappresentate 162 nazioni (più che ai Giochi di Seul 1988) e 10.442 atleti (più che ai Giochi di Atlanta 1996). Il paradosso è che proprio i Giochi veri stanno cercando di fare marcia indietro, a volte in maniera grottesca come nella scherma. 4) Nella vecchia Europa, ma anche negli Stati Uniti, lo sport professionistico è sempre più ricco e seguito ma anche sempre più ristretto come club e partecipanti. In altre parole: tutti gli appassionati di basket seguono la NBA, ma sempre meno i campionati nazionali. Il futuro passerà quindi sempre di più da queste grandi manifestazioni per nazioni, in cui l'elemento politico si fonde con quello sportivo. Può piacerci o meno, ma così è.

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