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Redazione

20 agosto 2013

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L'Italia è uscita con le ossa rotte dai recenti Mondiali di nuoto a Barcellona e di atletica a Mosca, cioé nelle massime competizioni extraolimpiche riguardanti le discipline che danno la dimensione della cultura sportiva di un paese. Con il bilancio reso meno amaro da medaglie di certo non programmate come l'argento della Pellegrini nei 200 stile libero, dopo un anno semi-sabbatico, e della trentasettenne Straneo nella maratona. La peculiarità italiana, rispetto agli atleti di altri paesi negli sport senza 'mercato' (In Italia l'unico che possa camminare sulle proprie gambe è il calcio), è che il 90% degli atleti di vertice fa parte di gruppi militari: Fiamme Gialle (Finanza), Fiamme Oro (Polizia), Fiamme Azzurre (Penitenziaria), Carabinieri, Forestale, Esercito. Curiosamente né la Pellegrini, per scelta sua personale di libertà, né la Straneo che fino ai 35 anni di fatto era una dilettante, fanno parte di questo sistema che era proprio dell'Europa dell'Est prima del 1989 e oggi solo di qualche stato africano e asiatico. Compito istituzionale delle federazioni e del CONI è quello di supportare anche finanziariamente gli atleti che abbiano una minima prospettiva olimpica, mentre meno chiara è l'utilità dei corpi militari nel finanziare un un oscuro dorsista o un siepista che non vanno al di là delle batterie. Quella del ritorno di immagine è una barzelletta, poteva valere per i Carabinieri con Tomba e in pochi altri casi, ma è anche un po' demagogia sottolineare gli sprechi solo quando riguardano lo sport. Se poliziotti e carabinieri sono usati per accompagnare al ristorante politici bolliti e minacciati da nessuno, ci sta anche che qualche euro venga dirottato sugli sport più universali. Il vero problema, che nessun presidente (nemmeno Barelli e Giomi hanno toccato questo tasto) ha sottolineato per paura di dover tirare fuori soldi dal bilancio federale, è che nella quasi totalità dei casi l'entrata in un gruppo militare, con minimi a volte di manica larghissima, rappresenta per gli atleti un punto di arrivo. Significa uno stipendio, sia pure modesto (ma in tante zone d'Italia con un potere d'acquisto notevole, non è che esistano solo Milano e Roma), assicurato per la vita. Ci si trascina per dieci per piste e piscine (gli azzurri visti ai Mondiali sono i più bravi, ma sono stipendiate dallo Stato anche le seconde e le terze linee), poi quando si finisce ci si ricicla come allenatori o, nella peggiore delle ipotesi, si entra in servizio a tutti gli effetti. Anche se a 35 anni, senza addestramento specifico, è difficile (ma teoricamente non impossibile) essere messi di pattuglia. Di solito si finisce in un ufficio, senza far danni. Un sistema malato, che paradossalmente rende gli atleti molto più motivati negli anni da juniores che in quelli da teorici professionisti. Fanno eccezione, in ogni caso, i fuoriclasse. Ma ad essere penoso, in questo 2013, è stato il nostro livello medio. Una distribuzione dei soldi più motivante potrebbe essere un buon punto di (ri)partenza, con abolizione dei gruppi sportivi militari e atleti di vertice sotto la totale gestione federale. Tanto a pagare è comunque sempre il contribuente. Twitter @StefanoOlivari

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