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Redazione

21 agosto 2013

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La squalifica di un settore dello Stadio Olimpico di Roma, scriviamo con l'esito del ricorso della Lazio non ancora noto, è uno dei tanti aspetti grotteschi e demagogici della presunta battaglia del calcio italiano contro il razzismo. Un po' come dire che si è contro le guerre, la fame nel mondo, l'evasione fiscale, eccetera. Non è che impedendo ai quattromila abbonati della curva Nord di vedere Lazio-Udinese sia dia chissà quale lezione alle poche centinaia di dementi che per lunghi tratti della partita di Supercoppa con la Juventus hanno insultato Pogba e alcuni suoi compagni. E nemmeno, a dirla tutta, alla maggioranza (o minoranza significativa, nella migliore delle ipotesi) silenziosa che negli stadi trova divertente non solo l'ululato razzista, ma anche l'insulto a madri e mogli o alla memoria dei morti. Ritenendo il colore della pelle l'unico argomento 'sensibile' si fa dell'involontario razzismo, parafrasando Sciascia il sottile razzismo dell'antirazzismo. Facciamo questo discorso prima dell'inizio di campionato, perché mai come nel 2013 la situazione dell'immigrazione in Italia è esplosiva. Fra regolari e irregolari, gli stranieri nel nostro paese sono più di 5 milioni (4.570.137 i regolari, quindi più del 90%, secondo il censimento del 2011) e anche se la razza prevalente è la 'nostra' (per dire, oltre il 20% è di nazionalità rumena) nell'immaginario collettivo il 'negro' ha sempre un certo impatto. Secoli di minacce delle nonne, del genere 'arriva l'uomo nero', non possono insomma essere cancellate dal giudice sportivo. Il problema in più, rispetto al passato, è che gli italiani delle classi sociali medie e basse, cioè l'architrave delle presenze allo stadio, sono più poveri e arrabbiati. In certi casi disperati. Sparare nel mucchio, squalificando una città, uno stadio o anche solo un settore dello stadio, potrebbe essere pericolosissimo. Senza tirare in ballo i mitici steward, visto che le telecamere per l'identificazione dei delinquenti non mancano basterebbe una intensificazione di strumenti come il Daspo. Non sarà grande garantismo (sempre meglio di una manganellata, però, anche gli Irriducibili saranno d'accordo), ma è sempre più sensato che fornire alibi al razzismo meno urlato. Se poi vogliamo dire che Lotito, Agnelli o tutti gli altri presidenti devono essere responsabili della stupidità dei propri tifosi diremmo una cosa in cui non crediamo e dipendente solo dall'antipatia nei confronti dei soggetti in questione. Senza contare che la rilevazione e la registrazione delle offese sono fatte in maniera molto diversa a seconda delle squadre, fra arbitri con i tappi di cerume e questori tifosi. Twitter @StefanoOlivari

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