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L’eredità non divisiva di Prandelli

Redazione

4 settembre 2013

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Le parole un po' vaghe di Cesare Prandelli hanno giustamente scatenato il toto commissario-tecnico, visto che ognuno di noi si sente in grado di farlo come (e perché non meglio?) di un uomo che lavora nel calcio da una vita. Il punto della situazione con Abete previsto a qualificazione mondiale aritmetica è scontato, non è che il commissario tecnico possa andare in Brasile senza avere un'idea (anche in caso di addio) sul suo futuro azzurro. E gli allenatori di primissima fascia, da quelli disoccupati a quelli a maggior ragione occupati, non si terrebbero mai liberi sperando solo in un fallimento dell'Italia a giugno. E quindi? La grande eredità di Prandelli non è tecnica, perché i giocatori della Nazionale non li ha certo formati lui, ma di immagine. E lo diciamo in senso (molto) positivo, al netto di certe furbate mediatiche di cui peraltro abbiamo scritto più volte sul Guerino. Con Prandelli l'Italia è tornata ad essere amata, o perlomeno non detestata, dagli italiani che con altri commissari tecnici (soprattutto Lippi, ma anche Sacchi) non avevano problemi nel tifare contro. Merito non delle convocazioni, perché nella squadra azzurra la Juventus è dominante, ma dell'immagine di chi effettua le scelte. Che possono essere discusse e discutibili, per citare un'espressione cara al grande Rino Tommasi, ma che mai devono dare la sensazione di essere prese per motivi o simpatie diversi dall'interesse della squadra. Non è che il c.t. non debba avere un passato di club, anzi: andando a ritroso Donadoni, Trapattoni, Zoff, Maldini, Vicini e lo stesso Bearzot un passato di club ce l'avevano eccome, ma si ponevano in maniera tale da sembrare allenatori dell'Italia da sempre. I tecnici bravi sono tanti, chiunque di questi può con i giocatori-chiave dell'Italia in forma aspirare a qualsiasi traguardo, per questo è poco probabile che Abete punti su una candidatura 'divisiva' (termine di gran moda) come potrebbero essere quelle di Conte, ammesso che voglia lasciare la Juventus, Mancini o Ancelotti. Sono finiti i tempi del tecnico federale promosso quasi per anzianità, quindi escluderemmo in partenza scelte 'di una volta' come potrebbero essere quelle di Di Biagio (Under 21), Pane (Under 19), Evani (Under 18), Zoratto (Under 17), eccetera. Rimangono in lizza decine di nomi, con uno che al momento vale l'altro. Potremmo anche spararli a caso, tanto per creare discussione (scommettiamo su Montella: ecco, l'abbiamo detto). Tutto dipenderà comunque dalla volontà di Prandelli e anche dalle sue opportunità a livello di club: di sicuro ha ridato l'Italia agli italiani, al di là del fatto che l'interesse per il calcio delle nazionali sia proprozionalmente molto più basso rispetto anche solo a una ventina di anni fa. Twitter @StefanoOlivari

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