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Redazione

3 ottobre 2013

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Il codice etico di Prandelli si è dimostrato una volta di più essere come tutte le leggi italiane, cioè interpretabile per gli amici e le persone che servono, come ad esempio Mario Balotelli. Certo che il commissario tecnico poteva giocarsi questo 'jolly etico' in partite più importanti di quelle insulse contro Danimarca (venerdì 11 ottobre a Copenaghen) e Armenia (martedì 15 a Napoli). Che attenuante sarà mai la decisione del Milan di non fare ricorso per le tre giornate di squalifica seguite al 'rosso' preso alla fine della partita con il Napoli, scelta peraltro fatta ben sapendo che il ricorso (viste le parole dette all'arbitro, ti ammazzo e tutto il resto) non sarebbe stato accolto? Il Prandelli c.t. ha finora fatto bene, sia a livello di risultati che di clima positivo creato intorno alla Nazionale, difficile discuterlo e difficile dal prossimo luglio sostituirlo con un'altra persona come lui priva della targa di un grande club. Il Prandelli personaggio è invece soprattutto un attento costruttore della propria immagine, che prevale sempre sulle sue eventuali furbate. Con tanto di compromesso nel compromesso: probabili la panchina 'etica' a Copenhagen e l'impiego libero a Napoli. Cosa dire? Mai confondere il romanziere con il suo romanzo. Juventus-Galatasaray è stata uno spot contro l'importanza esagerata che tutti noi diamo agli allenatori, convinti che il calcio in fondo abbia una sua logica. Roberto Mancini aveva diretto la sua nuova squadra in un solo allenamento, non parla una parola di turco e per sua stessa ammissione non conosce tutti i nomi nemmeno degli undici scesi in campo al primo minuto. Rispetto alla formazione che era stata massacrata a domicilio del Real Madrid aveva apportato una sola variante, in ottica di contenimento, togliendo una punta (Yilmaz messo in panchina) e lasciando il solo e non freschissimo Drogba in avanti. Risultato: una mezza impresa, con due gol su due tiri in porta (con una sola azione offensiva costruita). Ma di cosa stiamo a parlare? Poco più di quattro mesi fa Stefano Mauri alzava la Coppa Italia, vinta in finale dalla sua Lazio sulla Roma. A inizio agosto la squalifica di 6 mesi per omessa denuncia in relazione a Lazio-Genoa del 2011, adesso in appello presso la Corte Federale i mesi sono diventati 9 'grazie' anche a Lecce-Lazio. La sintesi brutale della vicenda è che in ogni caso la Lazio non corre rischi di penalizzazione, visto che non si tratta di illecito sportivo, mentre Mauri andrà avanti per i vari gradi di giudizio (il prossimo è il Tnas) in un paese in cui nemmeno le sentenze definitive sono davvero definitive. Di sicuro per il centrocampista la stagione è finita. E quindi? I club sono ritenuti responsabili per i cori dementi di spettatori ad essi non legati, mentre se un loro dipendente gira la faccia dall'altra parte in presenza di una combine basta una multa. Twitter @StefanoOlivari

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