Milan e Adidas, insieme fino al 2023 per circa (parte della sponsorizzazione tecnica è legata ai risultati) 20 milioni di euro a stagione. Sintesi della velina letta un po' ovunque, con annessa soddisfazione di Galliani (giustamente, sono quasi i soldi dovuti al Manchester City per Balotelli) e dei vari dirigenti dell'Adidas, che tanto non spendono soldi loro. Visto che spesso ci rapportiamo alla Premier League solo parlando di diritti televisivi, come se la tivù fosse l'unica cosa che conta (In Italia è senz'altro così, visto che i ricavi da stadio non superano il 15% del totale), è interessante confrontare anche le sponsorizzazioni a parità di rango del club. E quanto dà la stessa Adidas al Chelsea? Il contratto attualmente in essere, con scadenza 2018, tradotto in euro significa circa 23,5 milioni di euro a stagione. Visto che i risultati nazionali e internazionali del Milan nelle ultime stagioni sono stati inferiori a quelli del Chelsea, significa che alla fine la percezione dell'importanza del calcio italiano nel mondo non è così distante da quella della Premier League. Poi lo spettacolo, l'organizzazione, la cultura sono su altri piani, ma parlando brutalmente di soldi un calcio italiano ben gestito potrebbe competere. Per questo quei diritti televisivi della serie A per l'estero venduti a un decimo di quelli inglesi fanno venire cattivi pensieri a molti dirigenti del calcio italiano. Magari non a quelli del Milan, ma ad altri sì.
Michel Platini ha messo la Figc di fronte alle sue responsabilità, riguardo al pasticcio degli stadi chiusi in base a cori che fino a pochi mesi fa sarebbero passati inosservati nella terra promessa del campanilismo (un male necessario, per farsi piacere il 90% delle partite). Il presidente della Uefa ha voluto sottolineare la genericità della norma europea, che parla di discriminazione ma non entra nel merito dei singoli casi (lo fa con la giurisprudenza, che è abbastanza chiara: si colpisce quando ci sono riferimenti razziali o politici) e nemmeno vuole togliere le castagne dal fuoco alle singole federazioni. Cori e insulti normali in uno stadio rumeno o polacco sarebbero in Italia considerati inaccettabili anche dal più becero degli ultras. E quindi? Un buon assist, come quelli che faceva in campo, per Abete. Che potrà intervenire sulla durezza delle sanzioni senza perdere la faccia, ben prima che il tam tam delle curve porti a penalizzazioni a catena.
Avremo tempo fino al 2017 per parlarne, ma ci portiamo avanti, visto che da qualche mese il governo del calcio e gli stessi dirigenti dei club, quelli che un giorno sì e l'altro anche vagheggiavano stadi di proprietà e speculazioni immobiliari, sono stranamente silenti riguardo alla legge sugli stadi (in italiano significa: soldi pubblici distribuiti a club privati per usi privatissimi). Come mai? La risposta è una sola: Roma 2024. Anche la semplice ipotesi di candidatura farà arrivare soldi a pioggia sul calcio italiano. Sul calcio, attenzione, non sullo sport, visto che il calcio è una delle poche discipline olimpiche a poter godere dell'eccezione territoriale, con eventi possibili anche lontano dalla sede dei Giochi a patto che siano nella stessa nazione. In altre parole, usando il grimaldello olimpico De Laurentiis potrebbe farsi pagare il nuovo San Paolo da tutti noi. In questo senso il governo delle larghe intese, benedetto non a caso anche dal presidente del CONI Malagò, non induce all'ottimismo. Non ci sembra di intravvedere gente con la schiena diritta, non diciamo 'vertical' perché poi si è vista la dirittura morale di Cuper, da potersi mettere contro il sistema calcio.
Twitter @StefanoOlivari