Sampdoria e Parma hanno approfittato della sosta per le nazionali per celebrare i migliori anni della loro vita, un vero spot contro il fair play finanziario e la mobilità 'sportiva' che di fatto impedisce. Con tutto ciò che di negativo si può dire delle loro attività extracalcistiche, non si può negare che senza Paolo Mantovani e Calisto Tanzi quei due folgoranti decenni non si sarebbero mai materializzati e negli albi d'oro ci sarebbe qualche trofeo in più per i soliti tre club. Il ciclo della grande Sampdoria, iniziato con l'acquisto di Roberto Mancini nel 1982 dal Bologna e terminato di fatto con la sconfitta nella finale di Champions League del 1992 a Wembley contro il Barcellona, è stato ricordato nel ventennale della scomparsa di Mantovani, con un dibattito a palazzo Ducale (seguito da una partitella a Bogliasco) dove fra gli altri sono intervenuti proprio Mancini e Vialli (oltre a Francesca Mantovani, la più appassionata della famiglia), che dopo Wembley fu ceduto alla Juventus: Mantovani era ancora vivo e sempre straricco, ma i tempi erano cambiati e il pendolo del calcio era andato ormai irreversibilmente nella direzione delle metropoli. Come ben capì Tanzi, che nonostante le spese folli (con soldi veri, non certo come quelli dei bilanci di Tonna) e le entrature politiche, dalla Democrazia Cristiana al mondo bancario che ai suoi tempi contava (Geronzi), vinse tanto in Europa ma non ebbe mai il suo scudetto. La squadra di Buffon, Thuram, Cannavaro, Veron, Dino Baggio, Chiesa, Crespo, eccetera, non ci andò mai nemmeno vicina. Ieri non siamo riusciti a staccare gli occhi dalla partita del Tardini fra (quasi) tutte quelle vecchie glorie, con il pretesto del centenario del club. Zola che si è ritagliato dieci minuti fra mille impegni, Asprilla concentrato come mai era stato ai bei tempi, Brolin, Taffarel, Stanic, Minotti, Apolloni, Di Chiara, Benarrivo: Impressionante che lo scudetto non sia mai arrivato, commovente la rimpatriata con il romantico dispiacere per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Al di là della nostalgia, la vera domanda è: oggi sarebbero possibili avventure del genere? Cioè squadre storicamente da bassa classifica, per non dire da serie B, che competono sul mercato con i più grandi club del mondo? La risposta è chiaramente no. Il fuoriclasse di oggi non ha bisogno solo di soldi, che peraltro gli potrebbe dare qualunque sceicco o anche un ipotetico nuovo Mantovani, ma anche di visibilità, immagine e grandi palcoscenici. Impensabile che Piqué o Thiago Silva, per citare due che potrebbero essere considerati i migliori difensori del mondo, vadano a giocare nel Parma come fece Thuram (che ci arrivò nel 1996 ma ci rimase ancora 3 anni dopo essere diventato campione del mondo nel 1998) anche se Ghirardi gli offrisse 100 milioni all'anno. I ricchi esistono ancora, addirittura anche in Italia, ma ad essere cambiata è la percezione che il calciatore ha di sé. Tuttora, anche con il senno di poi, Mancini e Vialli non pensano di avere buttato via in provincia i loro anni d'oro, ma Balotelli (per citare uno con il loro stesso status) non ce lo vediamo lontano dal Milan o da uno dei dieci grandi club europei. E' cambiato il mondo, le celebrazioni del passato servono anche a rendersene conto.
Twitter @StefanoOlivari