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Uomini Mondiali / 2 - Ferenc Puskás

«Solo due squadre non hanno bisogno avuto bisogno di vincere per entrare nella storia. L’Olanda di Cruijff e l’Ungheria di Puskás». La famosa affermazione di Arrigo Sacchi sulle due grandi incompiute dei Mondiali ci permette di introdurre il ritratto di Ferenc Puskás, la grande stella del Mondiale 1954, vinto a sorpresa dalla rientrante Germania Ovest (squalificata quattro anni prima) proprio sulla formazione magiara. «Il più grande calciatore della storia», lo ha definito Alfredo Di Stéfano, suo compagno nel Real Madrid.

Redazione

15 novembre 2013

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Ferenc Puskás (2/4/1927 - 17/11/2006) Ungheria - attaccante «Solo due squadre non hanno bisogno avuto bisogno di vincere per entrare nella storia. L’Olanda di Cruijff e l’Ungheria di Puskás». La famosa affermazione di Arrigo Sacchi sulle due grandi incompiute dei Mondiali ci permette di introdurre il ritratto di Ferenc Puskás, la grande stella del Mondiale 1954, vinto a sorpresa dalla rientrante Germania Ovest (squalificata quattro anni prima) proprio sulla formazione magiara. «Il più grande calciatore della storia», lo ha definito Alfredo Di Stéfano, suo compagno nel Real Madrid. Nato come Ferenc Purczeld nel 1927, a sedici anni è titolare della Kispest Honvéd, squadra di Budapest allenata da suo padre, ex calciatore del club, che nel 1937 decise di cambiare il cognome di famiglia in Puskás. Ferenc servì il club della capitale dal 1943 al 1955: dodici anni in cui fece incetta di campionati (cinque) e di riconoscimenti (quattro volte capocannoniere del campionato). Nella Honvéd fece più gol che partite (352 reti in 341 presenze), ma la storia con il club rossonero finì male. Nel 1956, la situazione politica ungherese precipitò: le insurrezioni contro la dittatura del segretario del Partito comunista ungherese Mátyás Rákosi vengono represse dai carri armati sovietici. Più di duemila ungheresi persero la vita. Puskás e i suoi compagni, approfittando di essere fuori dai confini magiari per una gara di Coppa dei Campioni contro l’Athletic Bilbao, decisero di non rientrare più in patria. Senza i suoi campioni, la Kispest entrò in crisi; l’Uefa squalificò i disertori per due anni. E così, per rivedere Puskás in campo, si dovette attendere il 1958. Terminato il periodo vissuto tra Austria e Italia, il colonnello Puskás (grado che aveva ottenuto ai tempi della Kispest, che rappresentava l’esercito della nazione) si accasò al Real Madrid, nel pieno della sua epoca d’oro, quella di Di Stefano, Kopa, Gento e delle cinque Coppe dei Campioni consecutive: Puskás vinse le ultime due di quel filotto, più un’altra edizione nel 1966. La “sua” finale è quella del 1960, a Glasgow, quando Hampden Park impazzì per le giocate dell’ungherese e di Di Stéfano: il Real spazzò l’Eintracht Francoforte con un umiliante 7-3. Di Stéfano ne fece tre, Puskas addirittura quattro. A Madrid arrivarono anche sei campionati, e altri quattro titoli di capocannoniere. A trentanove anni si ritirò dal calcio giocato e tornò brevemente in patria, prima di tentare l’avventura da allenatore. Se con Kispest e Real Madrid ha vinto di tutto, rimarrà la delusione di non aver messo le mani sulla Coppa Rimet con la sua Ungheria. La finale di quell’edizione doveva essere il coronamento dell’Aranycsapat (squadra d’oro) di Czibor, Kocsis, Hidegkuti e appunto Puskás, stelle di quella squadra magica, imbattuta da quattro anni, vincitrice dell’oro alle Olimpiadi di Helsinki del ‘52, e capace di battere l’Inghilterra a Wembley (prima squadra a vincere in casa degli inglesi) e il Brasile Campione del Mondo nei quarti di finale dei Mondiali. All’ultimo atto, a Berna, gli ungheresi affrontano i tedeschi, già battuti 8-3 nella fase a gironi. Si mette subito bene per l’Ungheria, che nei primi otto minuti è già sul 2-0: il primo dei due gol è proprio di Puskás. La Germania Ovest di Fritz Walter e Helmut Rahn trova nuove energie e rimonta fino al 3-2. Per l’Ungheria si spezza l’incantesimo proprio sul più bello e a poco serviranno i sospetti di doping, da subito aleggiati intorno alla squadra avversaria. Da calciatore Puskás vestì solo due maglie. Da allenatore cambiò di continuo squadre e continenti: allenò in Spagna (Hércules, Alavés, Murcia), Grecia (Aek Atene ma soprattutto Panathinaikos, con cui vinse due campionati e si arrampicò fino alla finale di Coppa Campioni, persa con l’Ajax nel 1971), Usa (San Francisco Gales), Canada (Vancouver Royals), Cile (Colo Colo), Paraguay (Sol de América e Cerro Porteño), Arabia Saudita (la nazionale), Egitto (Al Masry) e Australia (South Melbourne, con cui vinse l’ultimo campionato della sua vita). Il suo girovagare non poteva che terminare con la panchina della nazionale magiara, ma i risultati furono scarsi: tre sconfitte in quattro partite. I tempi  dell’Aranycsapat sono ormai lontani, ma il ricordo di Puskás in Ungheria è ancora vivo: a lui infatti è dedicato lo stadio della nazionale e ancora oggi i calciatori ungheresi in erba, sognano di diventare come lui, che per poco non fece toccare la vetta del Mondo al suo tormentato Paese. Giovanni Del Bianco twitter: @g_delbianco

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