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Stelle comete: Domenico Morfeo

Redazione

19 marzo 2014

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Ho sempre avuto un debole, calcisticamente parlando, per un calciatore talentuoso ma assai discusso: Domenico Morfeo. Una grande promessa del calcio italiano, sin da quando a 15/16 anni deliziava certe platee a livello giovanile. Protagonista assoluto delle rappresentative azzurre, poco o nulla aveva da invidiare a Totti, Di Vaio o Tacchinardi che condividono con lui quelle esperienze. Anzi, da autentico fantasista col colpo sempre in canna, era il fiore all’occhiello della nazionale Under 17, assieme a un altro asso che poi si è perso presto per strada: Alessio Pirri, prodotto delle giovanili della Cremonese. Morfeo per alcuni compensava le palesi difficoltà fisiche (non era certo un gigante per un calcio sempre più “robusto” visto che non arrivava al metro e 70) con una fortissima personalità che in seguito ne avrebbe minato la carriera ad altissimi livelli. Si rivela da giovanissimo in prima squadra all’Atalanta, autentica fucina di talenti (con lui in quegli anni, oltre al già citato Tacchinardi, anche altri futuri professionisti, come i difensori Zanchi, Pavan e Viali, la mezzapunta Locatelli e gli attaccanti Chianese e Pisani, tragicamente scomparso a 21 anni per un terribile incidente stradale. Morfeo è quello che prima di tutti mostra doti non comuni, segna e fa segnare, fa meraviglie col suo sinistro, è soprannominato “Maradonino”, in fondo nei campetti di periferia dei tornei giovanili mostra numeri “circensi”, col pallone incollato ai piedi fa quello che vuole. Normale che arrivino ben presto le proposte da squadre importanti: se lo aggiudica la Fiorentina, all’epoca fortissima negli interpreti offensivi (Bati-gol, Rui Costa, Oliveira) e Morfeo riesce comunque a ritagliarsi un discreto spazio, accumulando un buon bottino di presenze (26 con 5 gol e numerosi assist). Arriva la prima chiamata da una big: il Milan brucia tutti nel tempo, si assicura le prestazioni del nuovo fenomeno del calcio italiano ma in un modulo troppo spesso ancorato a un solido quanto efficace 4-4-2, in una squadra in via di transizione, non c’è spazio in campo per lui, che viene così ceduto al Cagliari. L’inizio è deludente, tanto che a gennaio è meglio cambiare di nuovo aria e traslocare da chi ha sempre creduto in te, l’attuale allenatore della Nazionale, Cesare Prandelli che lo ha allevato nel vivaio dell’Atalanta. Approda così al Verona, in una squadra all’epoca in difficoltà in classifica, da neo promossa in serie A e in ritardo visibile rispetto alle dirette concorrenti. Ma proprio l’inserimento di Genio Morfeo cambia i valori in campo, l’Hellas disputa un girone di ritorno strepitoso, grazie ai colpi del neo-arrivato che, letteralmente, prende per mano i suoi compagni, conducendoli a un’agevole salvezza e segnando ben 5 reti in 10 presenze, più tantissimi passaggi vincenti. L’anno successivo è reduce da un infortunio che lo penalizza a inizio stagione, poi a gennaio il copione si ripete, passa all’Atalanta in un ambiente amico e ripete l’exploit veronese, stavolta segnando 5 gol in 17 partite. Cominciano tuttavia a intravedersi i suoi limiti.. fisici sicuramente, giacchè Morfeo raramente termina un campionato senza infortunarsi, e caratteriali perchè non riesce in qualche modo a gestire la sua forte personalità e, diciamola tutta, pare poco incline al “sano” sacrificio, quello richiesto a tutti i calciatori di serie A se si vuole emergere ad alti livelli. Dopo due buone stagioni in squadre provinciali, torna nell’anonimato in una stagione sfortunatissima a Firenze, terminata con la retrocessione. Lui però ha un’altra clamorosa buona occasione, viene preso dall’Inter di Cuper, che però gli richiede uno sforzo tattico non indifferente, mettere il suo talento sulla fascia sinistra, ruolo che davvero poco gli si addice, in quanto gli mancano doti di velocità. Sconfinato e defilato, raramente può usare il suo dribbling fulminante e il passaggio illuminante per le punte. Morfeo chiude con un misero bottino: 17 presenze e 1 solo gol, uno score simile a quello di qualche anno prima col Milan. Appaiono chiari altri due punti: Morfeo per esprimersi al meglio deve essere libero di inventare, giostrando appena dietro le due punte, non segna molto ma può trovare il gol in ogni momento; l’altro aspetto è che per fare la differenza deve sentirsi leader, guidare la squadra, deve avere l’ambiente dalla sua parte. Questo difficile che accada al primo colpo in una “grande”, più facile fare la differenza in provincia. E difatti dopo il flop interista, finalmente Mimmo trova la giusta continuità di rendimento al Parma, squadra sulla via del ridimensionamento. Il connubio con compagni e tifosi è solido, così come con l’allenatore (guarda caso, Prandelli). Alla fine sono 16 gol in 101 presenze in serie A. Morfeo gioca a meraviglia nel ruolo di classico trequartista, raccordo tra i reparti ma soprattutto al servizio delle due punte ai quali regala fior di assist. Da lì qualcosa si spegne in lui, forse l’entusiasmo. Di certo a 32 anni i rimpianti possono essere tanti e le occasioni per rifarsi ormai pochi. Avrebbe potuto segnare un’epoca forse con le sue qualità tecniche ma alla fine non c’è riuscito, cadendo spesso vittima di squalifiche per indisciplina in campo. Il suo passaggio a Brescia è una stella cometa, nemmeno una presenza e liti assortite con il presidente, fino all’ultimo periodo alla Cremonese, condito da 4 presenze e una lunga squalifica. A poco è servito che a guidare la squadra grigiorossa ci fosse un altro dei suoi mentori, Emiliano Mondonico. Lascia in modo triste il mondo del calcio ma negli occhi dei tifosi rimangono molte delizie tecniche, tanti tocchi magici e fantastici gol. Ora vive a Parma dove da tempo ha degli interessi extracalcistici, nel campo della ristorazione. Peccato, perchè uno con le sue doti tecniche avrebbe potuto fare una carriera pazzesca, quando si dice che la testa deve viaggiare di pari passo con i piedi (del calciatore). Io comunque l’ho visto all’opera nel suo campionato con l’Hellas e mi piace ringraziarlo per aver contribuito enormemente alla salvezza della squadra, che senza di lui stava faticando e non poco a risalire la china in classifica. Gianni Gardon

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