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Redazione

24 marzo 2014

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Le sensazioni destate dal 'derby del mondo' visto al Bernabeu sono ancora troppo vive per parlarne con toni meno che esaltatori. Fra l'altro nemmeno possiamo più estrarre il prontuario da bar e fare affermazioni del genere 'In Spagna ci sono solo due squadre'. Prima di tutto perché in questa stagione ce ne sono tre: l'Atletico Madrid di Diego Simeone è in testa a pari punti con il Real che fattura il quadruplo, un punto avanti al Barcellona. E poi perché nel resto d'Europa, con l'unica eccezione della Premier League, il campionato nazionale è spesso una formalità: Bayern Monaco, Juventus e PSG sono ormai troppo forti per i rispettivi contesti, ma anche in paesi più piccoli raramente la competizione è più interessante che in Spagna (il Salisburgo è appena diventato campione d'Austria con 8 giornate di anticipo), dove nella peggiore delle ipotesi si assiste a un duopolio. Rimandiamo ai prossimi giorni lo sdottoramento sui massimi sistemi e sulla necessità di un vero campionato europeo, passando all'impresa del Barcellona. Incredibile non in senso sportivo, difficile sostenere che Martino abbia a disposizione giocatori inferiori a quelli di Ancelotti, ma per il clima da fine ciclo che in Catalogna si respira ormai dall'estate 2012, quella dell'addio di Guardiola per l'anno sabbatico a New York prima e per il Bayern poi. Il 4 a 3 di Madrid è figlio di numeri tecnici clamorosi, da entrambe le parti, di errori arbitrali che permettono a tutti e due i club di accusare l'altro di condizionare gli arbitri, ma anche di una rabbia che nel Barcellona non si vedeva da tantissimo e che aveva fatto dire proprio a Guardiola che si trattava di una squadra ormai impossibile da motivare. Questo non toglie che 'Tata' Martino sia uno degli allenatori meno adatti a guidare una squadra che gioca con il pilota automatico, paradossalmente ma nemmeno tanto in questa fase ai blaugrana servirebbe più un Mourinho che un Guardiola. Di sicuro il ciclo non è finito, a prescindere dai trofei che verranno alzati nella stagione: Messi ha 27 anni e sta selezionando gli impegni da affrontare al massimo molto meglio che nel passato, Iniesta ha 30 anni ma è sempre immenso, Xavi ne ha 34 ma è ancora una versione accettabile di Xavi. Nella nostra logica da eterno presente e da playstation sono sempre 'giovani', ma giocano insieme in prima squadra da esattamente 10 anni (l'ultimo ad esordire è stato Messi, nel 2004, 6 anni dopo Xavi e 2 dopo Iniesta). Ecco, intorno a questi tre può diventare forte praticamente qualunque calciatore di serie A e fino a quando saranno vivi e motivati sarà inutile la ricerca di quella prima punta che per tutte le altre squadre del mondo è fondamentale ma che per il Barca sarebbe quasi dannosa: per preservare la superiorità numerica meglio avere (oltre ad un avversario spesso espulso, ieri è toccato a Sergio Ramos) in mezzo un Messi libero o un Fabregas finto centravanti, rispetto anche un fenomeno come Benzema. Al di là di chi è tifoso del Real Madrid, per evidenti motivi, non capiamo l'antipatia e l'attesa del crollo che nei media c'è intorno al Barcellona. Reo di giocare a calcio, come manifesto programmatico (e lo ha fatto anche in tempi bui), e addirittura spesso di vincere. Gli altri, anche quelli forti, al massimo vincono ma non ti inchiodano davanti allo schermo anche se della parità non ti importa niente.

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