Da cultore del mitico 'campo' Antonio Conte si è trasformato nel solito avversario della Juventus che si lamenta dell'arbitraggio, del campo, della sfortuna. È bastato chiudere l'Europa League in semifinale per ridare all'allenatore bianconero la dimensione umana del memorabile 'Ai ding zo' di Istanbul, perché l'allenatore è difficile da discutere se non tirando in ballo la grande balla della 'mentalità internazionale'. Al di là del fatto che non si capisce perché Amorin e Perez dovrebbero avere più mentalità internazionale di Pirlo e Pogba, o Jesus più dello stesso Conte, non ci sembra che fra Champions ed Europa League la Juventus sia stata peggiore che in Italia, se vogliamo parlare di partite viste e non di statistiche: sfortunata a Copenhagen, dignitosa con il Real Madrid, ha sbagliato l'andata di Torino con il Galatasaray e nel ritorno di Istanbul ha avuto un approccio sbagliato (oltre a prendere gol da Sneijder a 5 minuti dalla fine). Poi nella coppetta, per i media agnelloidi o aspiranti alla pubblicità della Fiat diventata una grande coppa fino a quando c'era la possibilità di vincerla allo Juventus Stadium, è bastata in certi casi anche la Juve B mentre quella A è uscita con il Benfica pur creando più situazioni pericolose. Mentre Conte mourinhizzato combatte con i suoi nemici immaginari, dopo mesi in cui si lamenta perché secondo lui non gli fanno abbastanza complimenti (quando perde è però lui il primo a non farne agli avversari, come è successo con il Benfica), le domande sono due. La prima: Conte è un allenatore di livello internazionale o solo un buon sergente di ferro per il campionato? La seconda: cosa manca alla rosa della Juventus per essere al livello dei grandi club europei? La domanda numero uno di solito ha risposte solo a fine carriera, ma siccome scriviamo nel presente diciamo che pur apprezzando Conte (l'allenatore conta tantissimo, più di quanto si scriva: buona parte di questi tre scudetti è sua) quasi nessuno ad alto livello in Europa gioca con il 3-5-2. Un modulo che può essere sostenuto, a livello di Champions League, avendo esterni come Cafu e Roberto Carlos, mentre scendendo di livello come interpreti ha l'unico effetto di impedire l'utilizzo di esterni, di centrocampo o a maggior ragione d'attacco, davvero offensivi. Non è insomma solo una questione di nomi, anche perché non ci vengono in mente in Europa tanti attaccanti superiori a Tevez e Llorente, intesi come coppia. Siccome Conte conosce il calcio leggermente meglio dei giornalisti che lo criticano, il 3-5-2 non è evidentemente una sua fissazione ma il miglior modo di valorizzare Pirlo e cioè la luce della squadra in questo ultimo triennio. Con Ancelotti nel Milan Pirlo giocava in maniera diversa, a volte con davanti un rifinitore e due punte, liberando soluzioni diverse per l'attacco, ma aveva anche un'età che glielo consentiva. Sul piano umano Conte si approccia ai grandi eventi come un allenatore da provinciale, mettendo mani avanti e ingigantendo avversari che tolti pochi casi sono inferiori alla Juventus in tutto. Questo sì che è un limite. La seconda domanda, quella che interessa di più i tifosi essendo legata al mercato, non può essere scissa dalla prima. Questa Juventus è solidissima, vedere l'Atletico Madrid nella finale di Champions dovrebbe farla astenere da spese folli ma anche da cessioni senza prospettiva: con i soldi dell'eventuale addio a Pogba non si potrebbe in ogni caso attrarre il Cristiano Ronaldo o il Messi della situazione, cioè un giocatore che segni un'epoca nella storia del calcio. Due giocatori medi non migliorerebbero questa squadra, in caso di vendita di un potenziale fuoriclasse. Conclusione: con pochi ritocchi, nemmeno di nome, la Juventus sempre con Conte in panchina vincerà il quarto scudetto consecutivo e farà una buona figura in Champions League, almeno a livello quarti. Qualsiasi altra politica (tipo non dipendere più da Pirlo) porterebbe magari a pescare il jolly in Europa ma a rovinarsi in Italia.