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Redazione

7 maggio 2014

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Javier Zanetti si è ritirato con tre anni di ritardo, come accade a molti campioni e anche a chi campione non lo è mai stato. Finché trovi qualcuno che ti paga è giusto così, la vita fuori dal campo è orrenda anche per chi non ha mai giocato in serie A e a maggior ragione per chi ha giocato in carriera 1.112 partite vere, in quella parte di mondo soggetta a statistiche numero superato solo da portieri: Shilton, Rogerio Ceni e Clemence. In realtà la cosa più bella della carriera di Zanetti non sono i record, ma il fatto di avere vinto tutto dopo avere perso tanto, a lungo e non sempre in un gioco pulito: le emozioni del quarantenne sono senz'altro più intense di quelle del ventenne. Ritiratosi Chivu, che sarebbe già contento di vivere una vita normale senza zoppicare, presto in Argentina Milito, dell'Inter del Triplete rimarranno la prossima stagione quindi solo Cambiasso e forse Samuel, se accetteranno un ridimensionamento in ogni senso. Moratti aveva fatto a Zanetti più di mezza promessa dirigenziale (Cambiasso invece lo vedeva come allenatore), secondo il solito schema: so che non sai fare niente, che non hai studiato e che non hai intenzione di fare esperienza in realtà minori, ma mi sei simpatico e nella peggiore delle ipotesi potrai fare la bandiera. Lo stesso Branca, pur non avendo fatto per l'Inter da giocatore nemmeno un centesimo di quello che ha fatto Zanetti, fu paracadutato in un posto di responsabilità usando questa logica. Però Moratti, pur mordendo il freno con il suo 30%, non conta più quasi niente se non come ispiratore forse involontario di articoli livorosi, come se Mazzarri non lo avesse ingaggiato lui con un contratto biennale da allenatore di Champions League e le potenzialità finanziarie di Thohir non le avesse valutate per mesi (presto simpatiche novità sulle famose 'garanzie'). Tornando a Zanetti, potremmo riproporre discorsi fatti per bandiere di altre squadre, da Del Piero a Maldini: essere persone a posto, anche intelligenti e con una certa cultura in rapporto al calciatore medio, non è che trasformi in automatico in un buon dirigente. Forse in allenatore, e solo se si azzecca il momento giusto di entrata in scena, ma in dirigente certamente no. Non ci riferiamo solo a un dirigente del 2014, costretto dalle circostanze ad interagire con sponsor, istituzioni e realtà anche lontane dal calcio, ma anche del classico direttore sportivo di una volta: quello creato da Viani e Allodi, immortalato al cinema da Ugo Tognazzi in 'Ultimo minuto' e che oggi ha il suo volto migliore in Walter Sabatini. Riempire la società di grandi ex, senza un ruolo o una competenza specifica (solo Baggio rifiutò la carica di 'ambasciatore', più volte propostagli), era uno dei numeri preferiti da Moratti che non a caso ha vinto solo con allenatori come Mancini e Mourinho, impermeabili a ogni condizionamento ambientale e con la risposta pronta nei confronti dei troppi consiglieri. Nell'Inter di adesso, che Thohir intende trasformare in una super-Udinese in attesa di farne chissà che cosa (il 2016 sarà nella sua testa l'anno di svolta, con un bilancio lui spera risanato, per decidere se andare avanti o passare la mano), la competenza dei dirigenti più che una scelta è una necessità per sopravvivere. Di certo c'è che lo Zanetti giocatore ha avuto un peso politico superiore a quello che avrà lo Zanetti dirigente, ammesso che si trovi l'accordo sulla carica.

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