Ho iniziato presto ad appassionarmi di calcio giovanile, dapprima seguendo proprio sul campo tante compagini della mia zona territoriale, complice il fatto che i miei due fratelli minori hanno sempre giocato a buon livello, almeno regionale, e da lì la passione si è espansa ai vivai delle squadre nazionali, con la possibilità di seguire più da vicino nel mio caso le squadre di Chievo (sin dai primi passi nel professionismo ha presentato un’ottima organizzazione a livello giovanile), Hellas, ma anche Padova e Spal che tra l’altro spesso e volentieri faceva vero e proprio scouting tra i giovani atleti della bassa veronese/alta rodigina.
Ai tempi (si parla di prima metà anni ’90) ovviamente non esisteva internet, oppure vi si accedeva “clandestinamente” o in ogni caso con costi invero proibitivi e allora diveniva arduo documentarsi in merito ai nuovi “fenomeni” in pectore del calcio italiano. Ogni occasione per me era buona per guardarmi le partite del “Viareggio” o fare qualche capatina agli antistadi per assistere alle gare dei vari campionati, specie Allievi e Primavera. Provavo in un certo senso empatia per i miei coetanei che pian piano si stavano affacciando in prima squadra, in tempi fra l’altro in cui il calcio italiano era davvero molto competitivo ad alti livelli e pertanto emergevano i più bravi (ho imparato ben presto a capire quante componenti in realtà entrino in gioco nelle carriere dei ragazzi). Tutto questo lungo preambolo – perdonatemi – per dire che proprio 20 anni fa, nel 1994, vidi una fortissima Nazionale italiana Under 18 impegnata in un torneo (forse ai Giochi del Mediterraneo ma purtroppo in rete non sono riuscito a reperire il tabellino) su Raitre nel tardo pomeriggio. La guardai assieme a mio padre, grande esperto in materia, e assistemmo allo sbocciare di talenti autentici (ricordo quasi alla perfezione l’undici titolare, una squadra formata dai ‘75/’76: non trovarono spazio dall’inizio Tacchinardi e Di Vaio, già nel giro delle rispettive prime squadre, tanto per dire del livello altissimo dei giocatori presenti in rosa). In porta Aldegani, coppia centrale tutta milanista con Sadotti (onesta carriera tra poca serie B e tanta serie C) e Moro (poi bandiera del Chievo targato Delneri), a sinistra un invalicabile Nesta, a destra mi pare vi fosse l’ex juventino Daniel Terrera – ma non sono sicuro – mentre da centrocampo in su tutti avevano una tecnica superiore alla media. Davanti alla difesa giostrava un gigante Nicola Legrottaglie, con lui in regia un certo Francesco Totti, che sembrava tagliatissimo per agire in quel ruolo di “cervello”; centravanti (ma col numero 7 l’atalantino Chianese, punta di diamante del florido vivaio della Dea, che però in carriera ha segnato tanti gol prevalentemente in terza serie). Poi spazio a tre fantastici trequartisti: col 10 sul centrosinistra Tomas Locatelli, col 9 il genio Mimmo Morfeo (di cui ho già diffusamente parlato in questa rubrica) e con l’11 un altro genio assoluto – scusate l’iperbole - , sul quale era quasi impossibile non scommettere: il cremonese Alessio Pirri.
Davvero Alessio, già nel giro della prima squadra dei grigio rossi, stava bruciando ogni tappa e con quel sinistro sembrava in grado di fare qualunque cosa col pallone. Fisico minuto ma tecnica eccellente, da brasiliano, esordì prestissimo, lasciando subito traccia del suo passaggio. Infatti, proprio nella stagione appena successiva a quel torneo in cui per la prima volta lo vidi all’opera, Alessio mise a referto in serie A 16 partite con ben 3 gol ad appena 19 anni: numeri che gli valsero la chiamata prestigiosa della Juventus. Già suo fratello Josè, di tre anni più vecchio, aveva ben figurato nella Cremonese ma è indubbio che le speranze fossero riposte soprattutto nel “piccoletto”. La Juve lo parcheggerà in una piazza prestigiosa ed esigente, a Salerno, dove Pirri, a discapito della giovanissima età, mostra personalità e leadership guidando una forte squadra a un passo dalla promozione, sfumata solo all’ultima giornata per una concomitanza di risultati, il loro pari a Pescara e la vittoria della diretta rivale Perugia, ma a bruciare fu soprattutto alla penultima giornata la sconfitta del Manuzzi contro il Cesena, dopo che i granata sbagliarono un rigore, scivolando così al quinto posto.
Alessio porta tutt’ora nel cuore la sua positiva esperienza alla Salernitana, anche se l’arrivo di un tecnico come Delio Rossi, allora integerrimo nel seguire il 4-3-3 del mentore Zeman, lo penalizzò molto a livello tattico e così finì in sequenza prima alla Reggina e poi alla Reggiana da mister Varrella che l’aveva ottimamente valorizzato a Salerno. Fu una mezza stagione, da gennaio in poi, molto positiva in terra emiliana, che gli valse la chiamata di una piazza importante come Genova, sponda rossoblu. Qualche problema di ambientamento, in una squadra un po’ mutevole all’epoca e lui che forse ancora deve crescere a livello professionistico, nella concezione stessa di giocatore. Passa al Savoia, per una storica stagione cadetta in quel di Torre Annunziata me nemmeno qui sfonda, pur se a livello tecnico non si discute in mezzo a tanti abili pedatori, molti dei quali esordienti assoluti in serie B. C’è da soffrire per mantenere la categoria e Alessio è uno che gioca di fino, ma soprattutto in anni molto “ferrei” a livello tattico, dove la fa da padrone il solido 4-4-2 post Sacchi, il suo pare un ruolo eccessivamente ibrido, fantasista che però ha perso il senso del gol, raffinato ma poco veloce, non adatto a giocare largo a sinistra ma nemmeno come seconda punta, essendo sin troppo minuto a livello fisico.
Così Pirri, col nuovo millennio, stagione 2000/01, a 25 anni, quando gli amici ed ex compagni di Nazionale Giovanile, i già citati Totti, Morfeo, Nesta, Locatelli, Tacchinardi, sono già emersi in serie A e ambiscono a diventare dei big (tutti passeranno con alterne fortune nelle migliori squadre italiane), scenderà per la prima volta in serie C, e da lì non tornerà più a calcare palcoscenici più prestigiosi. Andrà spesso e volentieri ad incantare i palati fini della terza e quarta serie, vestendo le maglie ancora della Reggiana, del Padova per una sola sfortunata stagione, ma soprattutto di Spal – dove andrà a spendere le migliori stagioni della sua carriera, divenendo una bandiera della squadra ferrarese, prima di chiudere da protagonista nel Bassano, ad appena 32 anni. Da tempo ormai era diventato un play maker “alla Pirlo” secondo i dettami recenti per cui spesso gli allenatori tendono ad abbassare di qualche metro i loro giocatori più dotati da un punto di vista puramente tecnico. Pirri non ha mai nascosto che, se avesse avuto forse una testa diversa, avrebbe avuto tutte le credenziali per essere uno dei più fulgidi protagonisti del nostro calcio recente. Con i “se” e con i “ma” non si costruiscono le storie, ma di certo chiunque lo avesse visto giocare a 17/18 anni avrebbe come il sottoscritto puntato molte fiches sulla sua piena affermazione. Ora potrebbe rientrare nel mondo del calcio da allenatore, senza tralasciare l’azienda di famiglia che da anni sta conducendo con massimo impegno assieme al fratello già citato Josè, lui sì vera meteora del calcio italiano.
a cura di Gianni Gardon