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Redazione

20 maggio 2014

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Il summit Agnelli-Conte era più atteso di un medio G-20 e ha partorito la soluzione peggiore, per gli avversari italiani della Juventus: la squadra bianconera rimane uguale a sé stessa, con una cessione eccellente (Vidal o Pogba, non si scappa), miglioramenti sicuri in qualche ruolo (sulle fasce, soprattutto) ma di certo non con sconvolgimenti nella struttura. Perché se Conte avesse voluto provare il 4-3-3 avrebbe avuto gli attaccanti per provarlo già quest'anno (Tevez, Quagliarella, Vucinic, Giovinco, tenendo Llorente o Osvaldo in mezzo), in serie A le squadre materasso per fare esperimenti non mancano, ma non è certo di tattica che si è parlato secondo quanto risulta a persone degne di fiducia (almeno della nostra). Il punto di partenza è che Conte non aveva in mano alcuna offerta alternativa, nonostante tutto quello che si è scritto pescando i bigliettini dal cilindro, dall'Arsenal al Milan (!): rinunciare all'ultimo anno di contratto (le eventuali dimissioni sarebbero state immediatamente accettate) avrebbe voluto dire star fermo un giro, in attesa della prima panchina saltata di un grande club. Più forte il potere contrattuale dall'altra parte del tavolo di casa Agnelli (davvero l'incontro è avvenuto a casa Agnelli, non per dire), con un allenatore illuso (Mihajlovic) e altri giusto 'sentiti'. Piccolo retroscena genovese: ambienti vicini ai Garrone ci riferiscono che dietro a Mihajlovic c'è anche un'altra squadra (l'Inter?), quindi adesso il serbo o firma il rinnovo o viene salutato. Tornando alla Juve e usando altre parole, si può dire che Agnelli era ed è disposto a fare a meno di Conte. La sensazione è che quasi se la augurasse, una rottura. Il punto due, che Agnelli ha fatto presente al suo allenatore, è che nessuno chiede a Conte di vincere la Champions League a ogni costo, ma fra uscire nel girone e un onesto approdo nei quarti di finale, possibilissimo già con la rosa attuale e senza scomodare l'esempio dell'Atletico Madrid, sarebbe un dovere sportivo e di immagine. Conte l'ha presa male, malissimo, più di quanto sia trapelato. Nessun massacro mediatico, espressione a lui cara, massacro che peraltro dovrebbe avvenire con il via libera dei padroni dei giornali (in molti casi gli Agnelli stessi). E il summit si quindi è chiuso per lui con una sconfitta: nessun ritocco dell'ingaggio verso l'alto, come indennizzo per i mancati grandi acquisti (sembra uno scherzo, ma Conte pensa davvero questo), nessuna promessa di mercato anche se è chiaro che la Juventus si rinforzerà, nessun progetto a lunga scadenza perché il progetto è già questo e tre scudetti in tre anni (vinti con la significativa mano di Conte, perché gli allenatori non sono tutti uguali) stanno a dimostrarlo. La fortuna di tutte le parti in causa è che non c'è alcun segnale di riduzione del gap tecnico fra i bianconeri e i rivali: potrebbe arrivare dal liquido De Laurentiis, più che dalla Roma, mentre la tendenza Udinese delle milanesi e della Fiorentina promette piazzamenti appunto da Udinese negli anni a venire. Con una concorrenza italiana rinforzata l'incontro fra Agnelli e Conte avrebbe partorito la classica pseudo-fiducia, con esonero a stagione in corso già scritto con mesi di anticipo. Valutando la situazione attuale, prima del calciomercato vero, invece si può solo dire che Agnelli e Conte siano rimasti prigionieri l'uno dell'altro: riproporre sempre gli stessi modelli è pericoloso (come la Fiat ben sa), ma togliere dal mercato una macchina che funziona è stupido. La Punto non si può riproporre all'infinito, quindi al momento si è optato per la Grande Punto.

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