Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Vincere da “underdog”

Redazione

28 maggio 2014

  • Link copiato

Vincere da “underdog”, per dirla come gli americani, che descrivono, con azzeccato colore, chi in una competizione parte fortemente sfavorito. Un’eventualità complessa nel calcio di oggi, non impossibile, nonostante l’ampia letteratura incentrata sull’incidenza dei fatturati sui risultati. Perché in campo non scendono i bilanci, anche se aiutano, e non poco, a determinare se non altro il capitale umano a disposizione. Che, spesso,  dà una sostanziale spinta alle possibilità di successo. Poi capita che nel corso di un’estate in cui volano affari che sforano i cento milioni di euro, nascano realtà, in quel momento meno avvezze di altre alle prime pagine e ai riflettori, in grado, però, di trovare un posto al tavolo dei grandi. Storie di “underdogs” appunto, per i quali, in maniera anche non proprio illegittima, non era previsto alcun ruolo da vero protagonista. Storie, seppur con esiti differenti, collegate tra loro, in un viaggio che da Madrid, sponda Atletico, arriva a Liverpool, con una sosta anche nella Roma giallorossa. Simeone, Rodgers e Garcia, degni emuli del tedesco Klopp che lo scorso anno ha fatto sognare il muro giallo di Dortmund fino all’ultimo atto della Champions League (un traguardo che per certi versi va anche al di là dei due titoli di Germania vinti). Nuovi filosofi del concetto di massima valorizzazione del materiale a disposizione. Senza vere fortune da spendere o disperdere e ai margini del circuito delle trattative che scaldano i battiti dei tifosi. Chapeau. Alla  fine l’unico a gioire davvero è stato el Cholo, e anche se per gli almanacchi non è un dettaglio, in una visione d’insieme, i podi raggiunti dal coach nordirlandese dei Reds e dall’ex allenatore del Lille, non hanno certo meno valore. Portare questo Liverpool padrone della Premier e del proprio destino fino all’ultima curva è stato sensazionale. Farlo offrendo il miglior calcio d’Inghilterra, con undici vittorie consecutive tra febbraio e aprile, vale come un titolo. Allo stesso modo centrare trenta punti nelle prime dieci gare da esordiente nel campionato italiano ha avuto del formidabile, soprattutto se grazie a un gioco affabile e moderno. E’ mancato a entrambe un ultimo acuto, più ai rossi del Merseyside, caduti a 270 minuti dal paradiso, complice un doloroso scivolone in casa contro il Chelsea. A Rodgers non è bastato compiere un miracolo tattico e mentale: il suo quattro-tre-tre veloce e offensivo, senz’altro più che un’illusione, con Gerrard davanti alla difesa, Coutinho mezz’ala, due attaccanti puri e un folletto ventenne di nome Sterling a svariare dalla trequarti in su, si è spezzato su un contropiede di Demba Ba. Discorso diverso per la Roma, che ha cullato un sogno con le fattezze del bel gioco e della solidità, arrivando anche al proprio primato di punti in Serie A, ma che si è dovuta arrendere anzitempo a una Juventus che scappando via ha stabilito il record dei record. D’altronde le storie di “underdogs” sono tali anche per questo,il destino non concede spazio a troppi outsiders. E la possibilità a disposizione messa sul tavolo l’ha afferrata l’Atletico Madrid, alla maniera di Simeone. Come nella stagione 1995-96, quando da capitano ha condotto i colchoneros alla loro nona Liga, con tanta garra e dodici reti in campionato. Dalla panchina del Calderon  (dopo aver vinto una Coppa di Spagna, un’Europea League e una Supercoppa Uefa), con otto vittorie di fila, derby compreso, ha lanciato  la propria sfida a Real Madrid e Barcellona. La sua longa manus, una squadra di combattenti organizzati, ha fatto il resto: un campionato sempre in testa, novanta punti, imbattibilità negli scontri diretti, ponendo fine al ciclo del Barça di Messi, sia in patria che in Europa, e tenendo a distanza i blancos. Ah, poi c’è la finale di Lisbona. Per la stagione dell’Atletico sarebbe stato già un successo la semifinale, arrivare a pochi secondi da un doblete che avrebbe avuto più dello storico è stato allo stesso tempo impagabile e crudele. Il pareggio di Ramos ha il medesimo sapore del gol di Demba Ba o dell’uno a zero di Vidal contro la Roma. È l’episodio che segna un confine, uno sliding doors che determina quel che sarà ma non toglie alcun merito a ciò che è stato.  Il resto sono dettagli per gli annali. D’altronde passare da “underdog” a “upset”, che, sempre all’americana, significa “una vittoria sconvolgente”, non è affar semplice. Per anni i coriandoli dei festeggiamenti  hanno i colori di chi ha forza e mezzi, talvolta la storia cambia e arriva qualcuno a rendere l’esito meno scontato, altre volte ancora (poche) quel qualcuno fa l’impresa.

Fabrizio Tanzilli

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Loading...





















Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi