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Redazione

19 giugno 2014

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Il calcio spagnolo è finito, adesso è ufficiale. Ma cosa diciamo il calcio spagnolo? La Spagna, proprio intesa come nazione, è finita: quasi quasi se la annette il Portogallo (Catalogna esclusa, è chiaro). Se no perché Juan Carlos avrebbe abdicato? Due partite del Mondiale mal preparate e ancora peggio giocate, in particolare quella contro il Cile, hanno fatto la gioia del tuttologo che alberga in tutti noi, quello che vede connessioni fra tutto. Ma non c'è bisogno di nozioni di geopolitica e di filosofia, o la discesa in campo di servizi segreti deviati, per sapere che da due anni Casillas non è più lui, che a 34 anni Xavi è pronto per raccattare qualche milione arabo, che il leader Puyol si è ritirato, che alcuni di quelli nel pieno delle forze si detestano (Piqué e Sergio Ramos in particolare, infatti contro il Cile il blaugrana è stato sostituito da uno Javi Martinez spaesato e fuori ruolo), che l'innesto di un Diego Costa oltretutto a mezzo servizio era un rischio in una squadra che mai ha giocato con una prima punta vera, che san Iniesta non può fare tutto da solo. È andata così, un mese dopo la vittoria del Real Madrid sull'Atletico Madrid in Champions League e di quella del Siviglia in Europa League: squadre dove gli spagnoli non mancano (nelle finali su 33 titolari teorici solo 13 erano teoricamente convocabili da Del Bosque) e comunque espressione della forza di un movimento. Può anche essere utile ricordare che la Spagna ha vinto gli ultimi due Europei Under 21, l'ultimo in finale sugli azzurri di Mangia… Una nazionale che può ripartire da De Gea, Montoya, Carvajal, Illarramendi, Koke, Thiago Alcantara, Isco, Tello, Morata, Muniain, eccetera, non è di sicuro messa male. Di questa nuova generazione di fenomeni al Mondiale sono stati convocati solo De Gea e Koke, ma il futuro è cosa loro. Detto questo, la prematura e imprevedibile uscita da Brasile 2014, oltre a scatenare ogni tipo di dietrologia (i catalani che avrebbero remato contro, per motivi anche politici, o secondo un'altra teoria la minaccia di controlli antidoping più seri da parte della FIFA), segna di sicuro la fine di un ciclo che nel calcio di oggi è irripetibile visto che in Europa ci sono adesso sette, otto nazionali di alto livello per le quali un dettaglio fa spesso la differenza fra la genialità  e il fallimento. Un ciclo che non ha solo dato qualche pennellata al gioco del Barcellona, cioè di quanto di più esteticamente bello si sia visto su un campo da calcio dal Brasile di Telé Santana ai giorni nostri, ma che per certi versi lo ha inventato al Mondiale 2006 con Aragonés in panchina e Xabi Alonso e Xavi già in campo. Adesso è finito questo gruppo vincente, ma non certo la Spagna.

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