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Italia, anatomia di una disfatta

Redazione

25 giugno 2014

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Siamo fuori dal Mondiale. Per la seconda volta ai gironi iniziali, come non succedeva dal 1966. Allora fu il punto più basso nella storia della Nazionale del Dopoguerra, con il malcapitato Mondino Fabbri spernacchiato da tutti, ma non è che il quadro attuale sia poi tanto migliore. Usciamo per mille ragioni. Ma per una principale: non siamo riusciti a fare calcio, a esprimere nulla, con la miseria di un tiro in porta nell’arco delle ultime due partite e con l’eccezione del match iniziale contro l’Inghilterra, forse agevolati dalla pochezza degli avversari. Ha sbagliato clamorosamente Cesare Prandelli, che in un mese – da maggio a ieri – ha cambiato almeno quattro moduli e cinque o sei interpreti nello schieramento-tipo, con alcune soluzioni micragnose. Per esempio, che senso ha avuto buttare dentro tutti i trequartisti nella ripresa contro la Costarica senza arrivare mai a sfiorare la porta? E ancora peggio contro l’Uruguay: come si fa a partire con due punte e a toglierle entrambe? Chiudendo la partita con il solo Cassano in attacco, senza più nessuno in grado di offrire una minima profondità. Addirittura comico l’ingresso di Thiago Motta, il quale per non rovinare la media del match precedente ha pensato bene di camminare sino agli ultimi scampoli di Mondiale. Una disfatta. Di cui Prandelli, insieme al presidente federale Giancarlo Abete, si è assunto la responsabilità. Le dimissioni di entrambi sono state un gesto forte, molto applaudito nelle televisioni, ma tutto sommato inevitabili. Cosa altro si poteva fare? Mai, nella storia patria (in questi giorni è tornato di moda il vocabolo), un Commissario tecnico era sopravvissuto all’uscita nei gironi. Dal ricordato Fabbri del 1966 al Lippi del 2010. Aggiungo un’ulteriore cosa, sapendo di infierire. Ma tutte le favole che ci hanno raccontato sulla preparazione fisica a cosa sono servite? La casetta Manaus fatta costruire in tutta fretta a Coverciano? I campi rizollati per simulare l’umidità brasiliana? E poi gli studi, i rilevamenti, i guanti col ghiaccio per recuperare la temperatura corporea. Non è finita: i resort, le mogli al seguito per sostenere i nostri eroi, tutto consumato nell’acido lattico della squadra azzurra, la più stanca e sfibrata di Brasile 2014. Costo totale: oltre 4 milioni di euro. Le dimissioni di Prandelli erano per questo inevitabili. Dato a Cesare quel che è di Cesare, compreso un secondo posto all’Europeo che resta quasi inspiegabile in quest’epoca del calcio italiano, passiamo alle questioni vere. Il fallimento di Natal è la logica conseguenza di un movimento che da dieci anni arretra puntualmente. Forse da venti, come il Guerin Sportivo ha scritto mille volte. La Serie A ha quasi il 60% di giocatori stranieri, in moltissimi casi bidoni scarsi, scarsissimi. I nostri vivai sono mortificati, abbandonati al volontariato, con squadre Primavere imbottite di africani o europei dell’est. Vai a capire. Immobile ha fatto una grande stagione, ma non ha mai giocato una sola partita in Europa. Balotelli (ormai non ci credo più, Mario, bonus scaduto) faceva la riserva nel City, può giusto giocare in un Milan da metà classifica. Insigne stenta a farsi spazio nel Napoli, Cerci è anche lui senza esperienza internazionale. Idem De Sciglio e Darmian. Qualcuno ha rimpianto Destro, ma pure lui non mi risulta navigato in certi scenari. Siamo ancora aggrappati agli ultimi scampoli di Italia mondiale: Buffon, Pirlo, la difesa ItalJuve, il solito De Rossi. I nostri ragazzi, nell’antipatica polemica scaturita nello spogliatoio, non hanno avuto modo di cimentarsi con partite di questo livello. Il solo Verratti, non a caso tra i migliori in campo ieri, può vantare qualcosa. Dall’altra parte, Cavani, Suarez e il “goleador” Godin hanno fatto capire cosa significhi essere abituati a certi teatri. Nel caso di Suarez pure troppo. Ma gli alibi arbitrali non servono a nulla, ci porterebbero fuori dal problema. Nel 1966 si chiusero le frontiere per 14 anni. Cosa improponibile in epoca di Bosman. Ma qualcosa bisogna fare nell’interesse generale e del Ct che sostituirà Prandelli (Spalletti? Mancini? Zaccheroni?). Trasferire ai presidenti di Serie A un senso di collettività, di movimento, invitandoli a non pensare solo ai diritti televisivi, ma di dedicare un minuto delle Assemblee di Lega anche ai nostri giovani. Inter, Milan, Juve, Napoli e Roma, da quanto leggo sui giornali, stanno pensando di rafforzarsi solo sul mercato estero, a danno ancora una volta del mercato interno. Non possiamo pretendere di fare giocare solo stranieri e di avere una Nazionale forte. È algebra, mica calcio. Non si è patrioti ogni quattro anni, ma tutti i giorni. twitter @matteomarani

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