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Redazione

1 agosto 2014

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Giovanni Malagò avrebbe una grande voglia di commissariare il calcio italiano, ma firmerebbe già adesso perché Albertini fra 10 giorni prevalesse su Tavecchio con tutte le conseguenze del caso: FIGC fuori dall'orbita Galliani-Lotito (con De Laurentiis a simpatizzare) e dentro a quella agnelloide (che oltre alla Juventus comprende Roma, Inter e Fiorentina), panchina della Nazionale a Conte, magari anche una riscrittura dello statuto che impedisca ai capi di due movimenti agonizzanti (Macalli-Lega Pro e, appunto, Tavecchio-Dilettanti) di far eleggere anche Pluto o Paperino, se volessero andare al muro contro muro. L'incontro con Tavecchio e Albertini è stato in questo senso illuminante: cortesia formale e freddezza con il primo, ampio giro di vedute con il secondo. Nella nostra modestia abbiamo parlato con chi origliava e siamo in grado di dire che Albertini si presenterà lo stesso, anche se dovesse avere la certezza di straperdere. Gli è stato consigliato di fare come Renzi contro Bersani 2 anni fa alle primarie del PD: meglio smarcarsi che essere cooptato (poi Albertini, da 8 anni in federazione, è il re dei cooptati, ma questo è un altro discorso). Dal canto suo Tavecchio ha ribadito che non mollerà la partita per cui si prepara da una vita: se la situazione dovesse precipitare, magari dopo qualche rottura in LegaPro (17% dei voti dei delegati), accetterebbe l'ipotesi di essere affiancato da un supermanager operativo davvero, ma non mollerebbe sulla carica di presidente. Una volta tanto la politica sportiva è appassionante anche per il grande pubblico, anche se i cosiddetti programmi dei due candidati differiscono solo su aspetti marginali (tipo le seconde squadre invece della multiproprietà libera). A noi del popolo interessa soprattutto il nome del nuovo commissario tecnico: detto che il gruppo Albertini non ha un piano B e punterebbe diritto su Conte, al netto del fantamercato che lo vorrebbe a riposo in attesa di un fallimento di Inzaghi, più vaghe sono le posiioni di Tavecchio e dei suoi grandi elettori. Cabrini è una battuta (speriamo), Guidolin lo è molto meno, uomini immagine alla Baggio o alla Maldini sono un rischio troppo alto e una suggestione solo giornalistica. Evidentemente intralcerebbe meno il lavoro dei club un allenatore che non avesse velleità dirigenziali e che guidasse l'Italia come un club: Mancini o Spalletti, che non hanno però grandi sponsor, per non dire ancora Conte. Alla fine il vincitore degli ultimi tre scudetti potrebbe essere l'unico punto di convergenza fra i tre partiti in campo. E il resto del calcio italiano? Se l'Italia fosse riuscita a difendere lo 0 a 0 con l'Uruguay, per 10 minuti in più, non saremmo qui a parlarne. Twitter @StefanoOlivari

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