A volte in questa rubrica sono incappato in casi – o meglio, ho voluto trattarli io – in cui la stessa definizione di “Stella cometa”, metafora da sempre utilizzata per vicende calcistiche, non calza propriamente a pennello. Come per il romano Alessandro Iannuzzi che invero, nella sua pur lunga avventura dietro a un pallone (ha chiuso in promozione, lui classe ’75, nel 2011, quindi a 36 anni) è stato più che altro un autentico “bagliore” per gli appassionati del bel calcio.
Sì, perché questo dispensava sin da giovanissimo ad ampie dosi, il giovane talento cresciuto nella Lazio, che ha composto per anni una solidissima ed efficace macchina da gol con un altro attaccante di cui si dicevano meraviglie, quel Marco Di Vaio che invece le promesse le ha mantenute eccome, se è vero che è ancora il miglior bomber della lega americana, la Major Soccer League. Ma torniamo indietro, quando a poco più di 18 anni, Iannuzzi nella Lazio Primavera di Mimmo Caso, creata a immagine e somiglianza della prima squadra biancoceleste, allora allenata da Zeman, quindi in soldoni disposta in campo con il 4-3-3, dava letteralmente spettacolo. Forte di due piedi d’oro, con cui innescava i compagni d’attacco (oltre al già citato Di Vaio, si alternavano davanti anche il centravanti Lucchini e l’ala Bellè), forniva assist al bacio ma soprattutto gonfiava le reti avversarie con le sue velenosissime punizioni. Classico numero 10 tutto estro e fantasia, dal fisico non propriamente minuto (1,78 x 70 kg) ma nemmeno un gigante in un calcio sempre più robusto e meno tecnico rispetto al decennio precedente, si distingue in una compagine giovanile fortissima che, infatti, andrà ad aggiudicarsi il campionato Primavera. Vale la pena sottolineare tra i suoi compagni il portiere Roma (ex di Monaco e Milan fra gli altri), i difensori Piccioni – poi bandiera del Sassuolo -, Orfei (con una lunghissima carriera da pro che l’attenderà da lì a poco), il veloce terzino Di Nicolantonio che calcherà palchi poco prestigiosi della serie C e soprattutto il futuro campione del Mondo Alessandro Nesta, che all’epoca, pur sapendo già giocare ovunque in terza linea, sovente veniva schierato terzino sinistro, ruolo con cui esordirà pure in prima squadra. A centrocampo invece ricordo bene il piccolo play davanti alla difesa Napolioni, mentre ai suoi lati agivano a destra Cristiano (a lungo nell’Ascoli da pro) e a sinistra Daniele Franceschini che fece le fortune di Chievo e Sampdoria. Insomma, una signora squadra da cui poter attingere in teoria a piene mani, anche se era il periodo in cui la Lazio voleva diventare una grandissima, anche a livello europeo, e quindi, con fior di campioni in rosa, era difficile per giovani, anche di sicuro avvenire, farsi notare. Tuttavia, proprio assieme alle stelle Nesta e Di Vaio, Iannuzzi ebbe la sua chance, e la sfruttò pure, segnando 1 gol, decisivo fra l’altro ai fini del pareggio della Lazio, su punizione in 4 partite nella stagione 1995/96. Il suo nome è ben monitorato dagli addetti ai lavori che ne riconoscono i cromosomi del genio calcistico. Nella stagione successiva la squadra della Capitale lo manda a far esperienza in una piazza prestigiosa, a Vicenza, dove sono anni buoni per chi vuole emergere. A fine stagione, a 20 anni, il romano totalizzerà 17 presenze e 2 reti, non male, soprattutto a far puntare ad occhi chiusi su di lui gli esperti in materia, è la forte personalità dimostrata al cospetto delle prime apparizioni nella massima serie. Col Vicenza si aggiudica pure una storica Coppa Italia, impreziosita da un suo gol nella finale. Insomma, il ragazzo può solo migliorare e il prestito successivo al Lecce sembra l’occasione giusta per sfondare in serie A. Invece occorre annotarsi in questo campionato 1997/98 il primo di una lunghissima serie di infortuni che ne accompagneranno inesorabilmente la carriera, pregiudicandone la piena affermazione ad alti livelli. Dalle 8 presenze, condite da un gol, nella stagione salentina alle 5 totali (2 nella Lazio e 3 nella Reggina) che inanellerà in 4 stagioni, dove transiterà senza mettere piede in campo anche dal Milan. Stessa sorte pure al Monza, prima finalmente di riassaporare il rettangolo verde per due fantastiche stagione al Messina. Tra il 2001 e il 2003 Alessandro, che nel frattempo proverà ad arretrare con successo il suo raggio d’azione, divenendo centrocampista a tutti gli effetti, metterà a segno 44 partite e 4 reti. Invece il pieno recupero per lui è solo un’illusione, tanto che poi al Perugia si infortunerà nuovamente al punto che gli umbri, non avendolo praticamente mai visto in campo, lo cederanno in prestito a stagione in corso al Pescara. Sempre attanagliato da guai fisici, disputerà a singhiozzo solo 7 gare, prima di scendere, per la prima volta in carriera, alla soglia dei 30 anni in serie C/1, sempre in Abruzzo ma al Teramo. Ormai il treno è passato, così come il tempo, tanto di cui necessiterebbe invece per tornare in piena vigoria. Dalle 5 sconfortanti partite col Teramo non trae alcun vantaggio per una carriera ormai in piena caduta libera. L’anno successivo deve infatti scendere nuovamente ma almeno in C/2, con gli umbri del Gualdo, torna a mostrare sprazzi di puro talento, anche se gioca col freno a mano, non ricercando più le giocate col suo sinistro virtuoso. 26 presenze e 2 reti che però non lo faranno desistere da una scelta di vita, amara ma a quel punto ponderata, di rinunciare ai campionati professionistici per avvicinarsi a casa, nel Lazio. Prima il Monterotondo e il Guidonia in D, poi giù in Eccellenza, dove si divide tra Fidene e Vis Artena, e addirittura in Promozione, al Pro Calcio Sabina e infine al Pianoscarano, dove, al termine della stagione 2010/2011 deciderà, come si suol dire, di appendere le scarpe al chiodo, prima di intraprendere la nuova carriera di allenatore (ha conseguito il patentino nel 2012). La casa madre Lazio sembra non essersi scordato di questo talentuosissimo figlioccio e chissà se Alessandro sarà in grado di trasmettere le giuste nozioni agli Esordienti e ai Giovanissimi, categorie da cui ha iniziato la nuova avventura. Sulla tecnica pura invece non sempre è facile lavorarci su, e a meno che uno non nasca fortunato in tal senso, come capitato a lui, occorre davvero mettere in campo altri valori. Tuttavia nel suo caso, alla buona Madre Natura che gli aveva donato il tocco sapiente di palla, un’ottima visione di gioco e due piedi con cui era in grado di addomesticare ogni pallone, non è corrisposta poi la fortuna strada facendo. E, visto che si trattava pure di un ragazzo con la testa sulle spalle, senza tanti grilli per la testa, ecco che il rammarico per un campione mancato (da giovane vinse pure i Giochi del Mediterraneo nel ’97, segnando uno dei gol della Finale, con gente come Buffon, Totti, Fiore, Giannichedda, Ventola, Lucarelli) cresce ancora di più.
(a cura di Gianni Gardon)