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Il campionato dei campioni

Redazione

16 settembre 2014

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Di Immobile in Bundesliga c’è solo Ciro, l’acquisto più costoso (20 milioni di euro) della nuova stagione tedesca. Per il resto, Bundesliga rimane sinonimo di crescita, innovazione e sostenibilità economica. Il primo esempio arriva dal business prodotto dai 18 club del massimo campionato tedesco, che alla fine della scorsa stagione ha superato i 2 miliardi di euro (2.081.552.000 per l’esattezza). Una cifra più che raddoppiata negli ultimi dieci anni, e che oggi è seconda solo a quella della Premier League (2.9 miliardi), ma primeggia su Liga spagnola (1.9) e Serie A (1.7). Ma rispetto agli inglesi, i tedeschi portano più persone allo stadio (41.914 spettatori di media contro 35.921, l’Italia arriva a malapena a 23.000), grazie anche a una politica di prezzi dei biglietti più contenuta. La scorsa stagione ad esempio l’Hoffenheim vendeva biglietti “popolari” a 9 euro, quando anche il più scarso club di Premier ne chiede almeno il triplo. Senza contare gli utili: se Real Madrid e Barcellona presentano bilanci con perdite astronomiche, se Chelsea e Manchester City hanno bisogno di sceicchi e oligarchi per far quadrare i conti, la Bundesliga è il regno dei club virtuosi. Nell’ultima stagione le società hanno prodotto un utile complessivo di 170 milioni di euro, con Bayern Monaco, Borussia Dortmund e Werder Brema in prima fila. Certo, non mancano le pecore nere come Schalke 04 e Amburgo, quest’ultima – unica squadra sempre presente in Bundesliga - sommersa dei debiti e costretta lo scorso anno a salvarsi solamente ai play-out. Il campionato tedesco è l’unico tra i cinque grandi tornei d’Europa in cui i diritti televisivi non costituiscono la maggior parte degli introiti di un club. Merito di politiche gestionali lungimiranti come quella attuata dal Bayern Monaco, che ha costruito una solida partnership con tre colossi quali Adidas, Allianz e Audi cedendo loro l’8% di azioni societarie e ricavando 320 milioni di euro. Il Borussia Dortmund (il club con più spettatori in assoluto in tutta la Germania) ha da poco presentato un progetto che prevede un ricavo di circa 100 milioni dalla vendita delle azioni del club, soldi che saranno reinvestiti nell’apertura di negozi ufficiali in Asia e per l’abbassamento della rata del mutuo dello stadio. Merita un accenno anche il monte stipendi, che incide sui bilanci delle società per il 39% circa, contro il 65-70% degli altri grandi campionati europei. Un circolo virtuoso che genera soldi e permette anche investimenti costosi: Mario Gotze, l’uomo che ha deciso la finale mondiale, guadagna 12 milioni di euro l’anno al Bayern, e non è neppure titolare fisso. Thomas Muller ne prende 10, così come i compagni Lahm e Schweinsteiger. E il Borussia non esita a mettere sul tavolo 20 milioni di euro per il capocannoniere della Serie A, il già citato Immobile. Al resto ci pensano i vivai, oggetto negli ultimi 12 anni di un investimento di circa 820 milioni di euro. E pensare che all’inizio del 2000 la Germania era costretta naturalizzare il sudafricano Sean Dundee e il brasiliano Paulo Rink perché non riusciva a trovare un sostituto all’altezza di Oliver Bierhoff, l’uomo che aveva regalato l’ultimo alloro (l’Europeo 96) alla Mannschaft. Un’altra epoca. Oggi la Bundesliga è il campionato dei campioni del mondo. In campo e fuori.

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