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Redazione

17 settembre 2014

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Il calcio italiano conferma la sua predilezione per dittature, monarchie ed emirati, andando a disputare la sua Supercoppa a Doha, in Qatar, il prossimo 22 dicembre (un lunedì, per l'Italia diretta RAI). Dopo la Libia di Gheddafi (comunque migliore della Libia attuale) e la Cina capitalcomunista (tre volte), la Lega ha ritenuto di mandare le protagoniste della scorsa stagione (Juventus scudettata e Napoli vincitore della Coppa Italia) in un paese non democratico, schiavista, con la giustizia amministrata secondo le leggi della Sharia (poi all'estero si mandano volti presentabili, del genere manager moderato) e che rappresenta per il calcio una mina climatica e organizzativa che non si sa come neutralizzare: il 2022 non è lontano e l'anziano Blatter dovrà trovare uno dei suoi colpi di genio per giustificare un cambio di sede, la corruzione prima del voto sarebbe un'argomentazione quasi controproducente considerando la storia della FIFA. Ma il punto, guardando al nostro orticello, è un altro: davvero non c'era nel mondo civile un organizzatore in grado di tirare fuori 3 milioni di euro, tutto compreso, per ospitare due squadre italiane di nome? Basta pensare agli ingaggi estivi per le amichevoli, delle stesse squadre, per rendersi conto che gli uomini di Beretta potevano fare meglio. Poi tutto sarà giustificato con fantomatici progetti di internazionalizzazione, senza chiedersi come mai a nessuno venga in mente di giocare il Community Shield a Doha, dove il calcio inglese è davvero un mito assoluto. Forse perché rimane inglese. Twitter @StefanoOlivari

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