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L’addio al calcio di Henry, Pallone d’oro mancato

Si ritira uno dei più forti giocatori degli anni Duemila. Il transalpino ha vinto Mondiali ed Europei, Champions e campionati. Gli è mancato solo il premio di France Football

Redazione

17 dicembre 2014

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Il ritiro di Thierry Henry non poteva lasciarci indifferenti. Chi scrive lo considera il giocatore più forte degli anni Duemila a non aver vinto il Pallone d’oro (secondo nel 2003, terzo nel 2006). Avrebbe certamente meritato il riconoscimento individuale riservato al miglior giocatore del continente, un premio che avrebbe nutrito la sua sterminata bacheca di successi collettivi, la teca di un calciatore che ha vinto tutto. A livello di club si è aggiudicato campionati nazionali (in Francia, Inghilterra, Spagna e Stati Uniti: solo l’Italia non gli portò trofei), coppe e una Champions League (nel 2009, al Barcellona). Con la nazionale francese ha conquistato un Mondiale (1998) e un Europeo (2000). Nel primo caso, segnò due reti al Sudafrica e una all’Arabia Saudita, risultando il cannoniere della compagine iridata (a soli ventun anni) e realizzò uno dei rigori nel quarto di finale contro l’Italia. Non male per un quasi esordiente e per un giocatore che non faceva nemmeno parte dell’undici titolare (non entrò nella vittoriosa finale contro il Brasile perché la Francia rimase in dieci dopo l’espulsione di Desailly. L’inferiorità numerica convinse Jacquet a schierare un difensore). All’Europeo di Belgio e Olanda di due estati dopo, fu invece tra le stelle più acclamate: altra coppa, altri tre gol (vittime Danimarca, Repubblica Ceca e Portogallo) e altro titolo di bomber francese. E nel 2003 ecco la Confederations Cup a completare il trittico, con tanto di rete in finale (golden gol al Camerun) e scettro di capocannoniere con quattro segnature. La grande occasione di rivincere il Mondiale (e probabilmente il Pallone d’oro di cui parlavamo in apertura) sfumò nel 2006, quando in finale i Bleus caddero contro l’Italia ai calci di rigore. Fatale l’errore di David Trezeguet, giocatore con una storia per certi versi simile alla sua: insieme formarono la coppia d’attacco del Monaco, prima di spiccare il volo nei grandi club europei. Ed entrambi passarono dal club monegasco alla Juventus, anche se Trezeguet a Torino divenne Trezegol, mentre Henry, nella sua breve avventura bianconera risultò spaesato. Madama non lo aspettò e dopo mezza stagione cedette il francese (che curiosamente indossò la maglia numero 6) in Inghilterra. Dopo i sei mesi con più ombre che luci, Henry passò all’Arsenal, dove si trasformò in cigno. Sin da subito, conquistò la leadership della squadra, della quale diverrà in otto stagioni il marcatore principe, superando i mostri sacri Ian Wright e Cliff Bastin, i quali detenevano rispettivamente il record di reti totali e in campionato. Wenger gli confezionò addosso la squadra, che dominava in patria e dava spettacolo in Europa. Ma se in ambito domestico l’Arsenal vinse trofei in serie, in Champions rimase incompiuta. Il duemilasei è l’anno dei rimpianti: pochi mesi prima della finale Mondiale di Berlino persa contro gli Azzurri, Thierry uscì sconfitto proprio nella “sua” Parigi, dalla finale  di Champions League che vedeva opporsi Arsenal e Barcellona. Henry, capitano e idolo indiscusso nel pieno della carriera contro Ronaldinho, stella degli spagnoli. Finì 2-1 per il Barça, che rimontò il vantaggio iniziale dei londinesi, in dieci dal 18’ per l’espulsione di Lehmann: Eto’o e Belletti ribaltarono il gol di Sol Campbell. Per i biancorossi, alla partita più importante della loro storia, fu un’occasione persa dopo quel k.o. un’opportunità di rivincita non si è ancora presentata. Henry invece ebbe modo di rifarsi proprio con i blaugrana a Roma nel 2009: il Barcellona, nel frattempo diventato il suo club, sconfisse in finale il Manchester United. Un 2-0 che regalò al francese quel che aveva perso tre anni prima. Ma se a Barcellona vinse tutto, il meglio di Titì rimane certamente quello ammirato a Londra, un atleta irresistibile capace di trascinare l’Arsenal alla vittoria di due Premier League e di tre Coppe d’Inghilterra; un cannoniere di razza salito quattro volte in cinque anni, tra il 2002 e il 2006, nel gradino più alto dei marcatori del campionato inglese, risultando per due volte il miglior bomber d’Europa. Le otto stagioni sotto il Big Ben tutte concluse in doppia cifra, ne fanno l’ultimo grande campione ammirato ad Highbury (nel nuovo Emirates Stadium giocò per una sola stagione). Francese come il suo tecnico Wenger e come tanti altri di quel meraviglioso Arsenal che per diversi anni praticò il miglior calcio d’Europa, trovò più gloria nel Regno Unito che nel suo paese natale, che non si è mai rispecchiato totalmente in lui, a maggior ragione dopo quella mano galeotta nello spareggio contro l'Irlanda (play-off di qualificazione ai Mondiali 2010). Proprio nei giorni scorsi, il suo ex compagno di nazionale Emmanuel Petit, ha detto che non sarebbe stato giusto fare un'amichevole in onore di Henry, proprio perché «la gente in Francia non lo ha mai amato». E poco importa dunque che sia il miglior realizzatore della nazionale, con 51 gol segnati, e che come presenze sia secondo solamente a Platini. Giovanni Del Bianco

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