Giorgio Chinaglia, sia quello travolgente dei tempi d'oro che quello latitante del finale di partita, era uno dei personaggi del calcio italiano più lontani dalla retorica dei coccodrilli, quindi gli e vi risparmieremo il disco del 'vuoto incolmabile' che sta suonando anche per altri morti illustri di questi giorni. Nessun vuoto è incolmabile, tantomeno quello post Chinaglia, però ci sono calciatori che hanno segnato un'epoca e altri che non l'hanno segnata, al di là del loro valore tecnico. E Long John fa parte della prima categoria, per vari motivi. Intanto è stato il primo emigrante di successo del calcio italiano, emigrante in tutti i sensi. Prima, da bambino, con la famiglia in Galles (emerse nello Swansea, infatti), poi da calciatore emergente in Italia (Massese, Internapoli, ovviamente Lazio), infine da stella internazionale nei New York Cosmos. Gli avanti-indietro della vita imprenditoriale e dirigenziale, fra 'amici americani' e finanziatori dell'Est, sono un'altra cosa. Ma Chinaglia ha segnato un'epoca come giocatore, non solo per i gol nelle sue stagioni d'oro e per lo storico scudetto laziale del 1973-74 (quello dell'anno prima era sfumato per un niente) ma anche per la sua personalità strabordante e ben rappresentativa del maledettismo della Lazio di quegli anni, fra scherzi tragici (Re Cecconi), pistole nello spogliatoio e discussioni politiche di violenza inimmaginabile ai giorni nostri (ma con un po' di impegno ci stiamo tornando). Il Chinaglia calciatore è stato il primo vero ribelle del calcio italiano, ma non certo per il famoso 'vaffa' a Ferruccio Valcareggi al Mondiale 1974. Lo è stato perché è stato il primo nostro calciatore a fare soprattutto i propri interessi, senza avere la pretesa di cambiare il sistema come i più intelligenti della generazione precedente (Bulgarelli, Rivera, Mazzola) che avevano fondato l'Assocalciatori. Situazione oggi normale, ma all'epoca delle squadre-famiglia (nell'accezione negativa) inaccettabile da dirigenti e giornalisti che invitavano i ribelli a tornare nei ranghi. Tutt'altra cosa il Chinaglia in giacca e cravatta, fra l'esperienza da presidente della Lazio negli anni Ottanta (chiusa con la retrocessione in B), un po' di opinionismo televisivo e amicizie oltre i confini della legalità: dal 2006 Chinaglia era latitante in seguito ad un ordine d'arresto per riciclaggio. Una storia in cui c'entra, non poteva essere altrimenti, la Lazio: fra minacce a Lotito, faccendieri ungheresi, ultras di professione, clan dei Casalesi, insider trading e mille altre situazioni. Ci è sembrato di capire, o almeno il nostro cuore così ha voluto capire, che Chinaglia fosse disposto a tutto ma davvero a tutto pur di tornare alla Lazio. Ma i suoi anni non torneranno più e non solo perché il campione è morto.
Twitter @StefanoOlivari