Si sono spente le luci sull’edizione 2015 delle final Eight di Desio, quelle della seconda coppa consecutiva conquistata da Sassari, stavolta contro i primi della classe. Si proprio Milano che ha dimostrato scarsissimo feeling con la competizione, giocando tre partite senza mai imporsi, salvo poi fare qualche scenetta stile bar dopo essere stata tritata dalla Dinamo in una finale in cui molti dei suoi parevano aspettare la sirena finale. Sassari si conferma regina di coppe e torna sull’isola ad allargare una bacheca che adesso ospita due coppe Italia e una Supercoppa italiana, ma torna anche con la consapevolezza di aver salito un ulteriore gradino verso la maturità, dopo una gara giocata con tanta energia e voglia di vincere e con la certezza che se vuol diventare davvero da primo posto, deve levarsi di torno quella definizione di squadra da partita secca. Ma per dimostrarlo ha tutto il girono di ritorno, o quasi.
Milano ha fatto venire l’ennesimo attacco di bile a Banchi, non per il risultato (forse) ma per l’aria di sufficienza con cui ha affrontato una competizione da aveva tutto da perdere e poco da guadagnare: e proprio così è andata. Gli anni senza una vittoria in coppa Italia diventano 20, segno di uno scarso interesse o meglio dell’incapacità togliere quella distanza che separa giocatori e allenatore dalla voglia di vincere, la stessa distanza che ha dimostrato patron Armani seduto in sesta fila con gli occhiali scuri a guardare i suoi che si facevano maltrattare da Sassari.
Ha deluso, e molto, Venezia: solo una comparsata al Pala Desio contro Brindisi, con Goss, Ress e Peric che evitano la disfatta ma che litigano, come tutti con il ferro. Poco da salvare per la truppa di Recalcati che fallisce l’obiettivo principale della stagione, quello probabilmente più abbordabile tra i due che si poteva giocare.
Fa il suo Brindisi, mandando a casa la più quotata Reyer al primo turno, grazie a un super Pullen, quando tutti si aspettavano una squadra a trazione posteriore, con i lunghi a far la voce grossa. Ferma poi la sua corsa contro Milano, forse appagata, ma con una disparità di valori in campo ben evidente.
Avellino agli occhi di tutti, ma non di coach Vitucci è la vittima sacrificale del primo turno. Rende complicatissima la vita a Milano che deve aggrapparsi alle spalle di Samuels e a una giocata di Brooks per vincere di due risicatissimi punti e torna a casa perdente ma probabilmente soddisfatta di quanto fatto.
Anonima la prestazione di Trento, non brillante come nel girone di andata, fatica a macinare gioco e, nonostante la buona volontà di Owens e Mitchell, torna a casa al primo turno. È la prima volta ma qualcosa in più si poteva fare e Buscaglia, per il campionato, deve prendere qualche indicazione da quanto visto, per non rovinare quanto di buono fatto nel girone di andata.
Reggio Emilia Arriva in semifinale dopo aver eliminato Trento con Cinciarini e Drake Diener sugli scudi, poi incontra Sassari e nonostante provi a restare in partita fino alla fine, sulla scia delle giocate di Kaukenas, Polonara e Cinciarini, non tiene in ritmo degli avversari e alza bandiera bianca. Ci può stare, visto come è andata a finire, ma forse la squadra di Menetti ci doveva credere un po’ di più.
Cremona ha la sfortuna di incontrare i futuri campioni d’Italia al primo turno. Sassari a dire il vero è stata, nella prima partita, molto contratta ma la differenza tecnica tra le due squadre è parsa davvero ampia. Dominata sotto canestro, con il solo Clarck a tirare la baracca e Vitali a zero punti, quella di Cremona a Desio è stata poco più di una gita.
Bella l’organizzazione dell’evento, il Pala Desio tirato a lucido e le dirette delle partite; bello il commento tecnico e i replay, così come la qualità delle immagini Rai; bella nella finale la cornice di pubblico, con i tifosi dell’Olimpia venuti in passeggiata e i tifosi della Dinamo ad attraversare il mare.
Bello tutto, o quasi: brutto è stato il gioco, con squadre concentratissime nel fare un pick & roll a metà campo con cui creare un sovrannumero, far girare la palla fuori fino ad arrivare a un “extrapass” (come amano dire i telecronisti) che porta a un tiro da tre con i piedi piantati per terra, o giù di lì. Bellissimo gioco, ma solo se la palla entra, in caso contrario diventa una prigione e con i giocatori a disposizione delle squadre oggi, non è assolutamente detto che entri (e non si provocano falli nella difesa avversaria, quindi non si va in lunetta). Il più delle volte non esiste neanche un piano B come quello mostrato da Milano contro Avellino, con Samuels a giocare dentro e tenere a galla i suoi, quando la pattuglia dei tiratori di Milano mostrava di avere le polveri bagnate o il braccino che dir si voglia.
Altro brutto: impressionante la quantità di giocatori sconosciuti, per lo più stranieri, che ha calcato il Pala Desio nei tre giorni di gara. Giocatori dei quali si poteva tranquillamente fare a meno e che il prossimo anno non vedremo in Italia o non vedremo con la stessa maglia di questo anno. Difficile affezionarsi a squadre così, dove non si riesce neanche a imparare i nomi dei giocatori, che subito vengono sostituiti. E questo spiega un po’ la mancanza di pubblico della prima giornata di gioco, ma più in generale quel che sta avvenendo nel nostro campionato. Non è autarchia a tutti i costi, assolutamente, ma la considerazione che il livello tecnico del nostro basket è in picchiata. Ne è la dimostrazione che nessun giocatore dell’Olimpia Milano che ha perso con Sassari, avrebbe un posto in quintetto, e probabilmente neanche in panchina, dell’Olimpia che 19 anni fa aprì l’ultima volta la bacheca per metterci il trofeo, nessuno, allenatore incluso.
Luigi Ceccon, in esclusiva per Guerin Basket