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Una serie A senza futuro (Guerin Basket)

Una serie A senza futuro (Guerin Basket)

Redazione

13 maggio 2015

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Finita la regular season del campionato di basket di Serie A , prima di tuffarsi nella corsa playoff (per chi li giocherà), è tempo di bilanci. La Lega basket parla di ottimi risultati di pubblico, nei palazzi dello sport e davanti alla tv o al pc. Parla anche di un aumento del gradimento e di un prodotto che piace e per il quale si può essere ottimisti, guardando a un playoff che darà spettacolo. Il campionato ha detto Milano prima (ma si sapeva), Caserta ultima e retrocessa (e nonostante l'ottimo girone di ritorno, si sapeva anche questa), e poco altro nel mezzo: Trento, la neopromossa che ha centrato il quarto posto e si è portata in casa i playoff con Sassari (di cui è bestia nera), Reggio Emilia che continua a crescere sotto la guida Menetti (reggiano e prodotto di casa) e Bologna che per parola di Villalta, non si sarebbe mai aspettata di finire ai playoff (Valli non l'avrà preso per un complimento). Il campionato ha decretato la retrocessione di Caserta, sancita alla fine della partita spareggio con Pesaro, ma figlia di un tardivo risveglio, di una situazione societaria non chiarissima e di una incredibile rotazione di giocatori che ha portato a un assetto definitivo poco tempestivo. Esposito ha ringraziato i suoi uomini, uno a uno, e il suo pubblico, e si è rammaricato per non essere riuscito nell'impresa. Paolini, invece, ha festeggiato in una Adriatic Arena piena per poco più di metà di spettatori e per il resto di polemiche, la permanenza in Serie A, ottenuta anche quest'anno all'ultima partita ma migliorando (di poco a dire il vero) rispetto allo scorso anno, senza dover guardare ai risultati altrui. Il campionato ha anche misurato i fallimenti di Roma e Pistoia (entrambe lo scorso anno ai playoff) e di Varese (svegliata dall'inedia da coach Caja) e di Avellino, in caduta libera per tutto il girone di ritorno e affidata a un saggio Frates per arginare i danni. Tornando all'ottimismo del presidente Marino: il campionato ha mostrato che c'è molto da fare e da riformare, che vuol dire anche ampli, se non amplissimi, margini di miglioramento. Dopo una stagione di "pick and shot" e di difese molto fisiche, si spera, come ha detto Bianchini, in una redenzione, una catarsi che migliori un livello tecnico apparso preoccupante. Impressionante poi il via vai di giocatori provenienti da campionati stranieri, spesso esotici. Veri e propri giramondo, anche con pochissima esperienza, il più delle volte con mezzi fisici buoni, hanno faticato ad ambientarsi e molto spesso (a essere generosi) non hanno portato valore aggiunto. Ne hanno risentito i giocatori nostrani, in particolare i giovani, spesso unici italiani in squadre eterogenee, poco impiegati, poco capiti, mai perdonati. Il campionato, poi, ha mostrato che le squadre che hanno poco budget e ancor meno programmazione, che si affidano all'estemporaneità e scommettono su stranieri poco affermati (e poco pagati), non possono competere con quelle che invece hanno soldi e capacità di guardare avanti. Lapalissiano, si dirà, ma il nostro campionato accosta sempre più spesso questi due tipi di realtà: squadre che programmano e squadre che resistono in attesa di un futuro migliore. Il futuro migliore vuol dire investimenti, sponsor, budget da spendere. E qui si apre un problema che l'ultima giornata di campionato ha reso ben evidente: il campionato non è una scienza esatta e “investimenti uguale risultati” è un'equazione che spesso non funziona: perché un imprenditore dovrebbe investire soldi in una squadra e soprattutto in un campionato senza avere la garanzia di continuare a giocarci anche l’anno successivo? Il professionismo richiede una visione che esca dall'immediato e arrivi al breve e al lungo periodo. Il sistema delle promozioni e retrocessioni forse è obsoleto per questa Serie A dove le società ammesse a giocare dovrebbero essere misurate non dai punti fatti a fine anno ma dalla solidità economica, dai bilanci e dalla capacità di investimento. In questo senso la valutazione dell'inserimento di un salary cup sarebbe una ulteriore tutela per investitori e manager, e il campionato sarebbe espressione non di una disparità economica ma di una migliore capacità manageriale. Il professionismo richiede, poi, che si giochi in impianti moderni e sicuri (vedi Pesaro, dove il terzo anello dell'Adriatic Arena è risultato inagibile e quindi è rimasto chiuso nell'unica partita dell'anno che l'avrebbe - forse - visto pieno) o dove non sia una regola la multa perché persone non autorizzate sostano nei pressi della panchina avversaria o scuotono il canestro sui tiri liberi. Forse Marino e il presidente della FIP Petrucci (“italiani in campo tra i miei obiettivi principali…” e meno male), che per Marino dovrebbe mostrare più rispetto, visto che rappresenta le squadre, senza le quali la FIP non avrebbe tanta ragione di esistere, dovrebbero parlare anche di questo oltre che di designatori arbitrali: magari dovrebbero ragionare assieme per dare un futuro ad un movimento che dimostra di piacere ma che al momento, di certo, ha solo il presente. Ora voce ai playoff che, per dirla alla Bianchini "rappresentano per il basket quel che la confessione rappresenta per la cristianità", lunedì si parte: vedremo quanti saranno passati dal curato prima del via. Luigi Ceccon, per Guerin Basket

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