Prende la via di Sassari lo scudetto 2015, dopo essere stato sulle maglie di Reggio Emilia per più di metà partita. La Dinamo dei "5 mori" (nuova bandiera in arrivo ai concerti del primo maggio?) dimostra che vincere non è una questione di nazionalità, ma di capacità tecniche, di condizione atletica, di preparazione mentale, mentre il resto sono solo chiacchiere di chi perde. Coach Sacchetti aspettava i playoff per risorgere dopo un pessimo finale di campionato; non più cicala quindi ma araba fenice, per dirla alla Sardara, che per dare il meglio di se deve prima morire, sprofondare nel baratro e poi risorgere, più bella che mai. Proprio Sacchetti ha saputo inserire importanti soluzioni offensive (attacco in post basso e alto, penetrazione verso canestro e scarico del pallone, ricerca del sovrannumero per dirne alcune) in un impianto di gioco, il corri e tira che mirava a fare due punti più degli avversari, buono per un anno ma che a Reggio, contro la macedonia di difese a zona messe in campo da coach Menetti, sembrava ormai poco efficace. Se l'apporto degli italiani è stato centellinato, con il solo Sacchetti (junior) a vedere il campo con una certa continuità, anche Devecchi e Formenti hanno risposto presenti quando sono stati chiamati in causa.
Sul fronte opposto, Menetti ha parlato di favola da vivere fino in fondo, ma a differenza delle favole dei bambini, nelle favole sportive, il lieto fine non solo non è assicurato, ma spesso non è neanche scontato. Due soli punti di distanza da Sassari dopo una stagione e sette scontri diretti ai playoff, dimostrano che la vittoria era lì a portata di mano e che Reggio Emilia esce da questa serie con l'onore delle armi e senza rimpianti. Facilissimo da dire, tanti giornalisti e commentatori lo hanno fatto, ma probabilmente impossibile da digerire se sei quello che è arrivato secondo, sei giovane e come in una favola sei alla tua prima finale.
La prima finale di Menetti e dei suoi porta il rimpianto di non aver dato il colpo del KO in gara 6, poi persa ai supplementari, e proprio in gara 7 quando Sassari nella prima metà di gara sembrava essere in preda a una crisi di panico. Cinciarini, Polonara e Della Valle sono ora patrimonio della nazionale, Cervi ha dimostrato sicurezza e affidabilità, mentre Lavrinovic, Diener e Kaukenas sono la prova che gli stranieri forti fanno crescere anche chi gioca con loro. Peccato per gli infortuni, che hanno caratterizzato questa stagione della Reggiana e senza i quali la storia sarebbe molto diversa.
Della finale rimangono le immagini dei ragazzi di Sassari che festeggiano, ma poco, per poi andare a consolare i rivali in lacrime, di Sacchetti che, sudato il sudabile, abbraccia il figlio Brian e poi gli altri suoi giocatori, quelli che resteranno e quelli che andranno via. Rimangono le immagini della festa della pallacanestro, celebrata in un palasport di provincia e che ha reso onore a uno sport bellissimo. Reggio e la Dinamo insegnano che i risultati vengono da lontano, da una programmazione attenta e dalla fiducia in un coach cui non viene chiesto di vincere e subito, ma di fare il meglio, il meglio che si può, che poi può anche voler dire coppa Italia, supercoppa e campionato.