L'orazione funebre per l'Italia della pallacanestro è già iniziata, dopo due sole partite di Europeo: sconfitta meritata con la Turchia e vittoria in volata (a 3' dalla fine punteggio pari) contro la stupenda ma fisicamente modestissima Islanda. Il risultato, cioè la speranza olimpica accesa, è senz'altro ancora raggiungibile: delle prossime tre partite (Spagna, Germania, Serbia) basta vincerne una per passare il turno e una squadra con tanti buoni attaccanti, presi singolarmente, come quella azzurra può senz'altro farlo a patto di proporre una difesa accettabile almeno come atteggiamento. Il sogno sarebbe vincerne due, per evitare un accoppiamento terribile negli ottavi come quello con la Francia di Parker, Batum e Diaw, ma aspettiamo a fare calcoli.
Non bisogna aspettare invece per una critica motivata al gioco di una nazionale che finora è la solita fallimentare nazionale di Pianigiani: fuori al primo turno in Lituania nel 2011 (dove oltretutto si era stati ripescati dopo la mancata qualificazione, con un allargamento improvviso a 24 del torneo), ottava in Slovenia due anni fa e quindi fuori dal Mondiale 2014. La differenza, non da poco, con le versioni precedenti, è che questa volta gli azzurri teoricamente migliori ci sono tutti: Gallinari, Bargnani, Belinelli, Gentile, Hackett, Datome, eccetera. Nessun infortunio grave (anche se purtroppo Datome è perso per tutto il girone), nessuna fuga dal ritiro, nessuna squadra NBA a consigliare le vacanze (per gli sponsor, ma anche per gli stessi atleti, i Giochi olimpici sono ancora un'altra cosa). Il problema è che fondamentalmente questa squadra non difende e non soltanto quando c'è in campo (poco) Bargnani, che ha ormai assunto la mentalità deteriore del mestierante NBA: faccio il mio, dalla mia mattonella, e stop. La quantità di pick and roll centrali subiti, ma più ancora l'assenza di aiuti dopo che un avversario batte il suo difensore dal palleggio, dicono che Pianigiani non è stato capace di trasmettere ai suoi giocatori nemmeno le nozioni più elementari di difesa di squadra. E non certo perché non le conosca, come in quasi tutti gli sport non è che a livello teorico ci siano chissà quali segreti, ma perché evidentemente non è capace, per mancanza di carisma o di credibilità tecnica, di farsi ascoltare dai giocatori senza avere una dirigenza 'forte' (anni da asteriscare, ma non divaghiamo) alle spalle come avveniva a Siena.
Qualche segnale positivo l'abbiamo però visto. Prima di tutto nessuna delle stelle, o presunte tali, si è messa a mangiare palloni: anche chi ha giocato peggio in rapporto al proprio potenziale, pensiamo a Belinelli, è sembrato avere dentro il fuoco giusto. In secondo luogo dopo tanti bei discorsi finalmente ci sono gerarchie chiare: Gallinari leader tecnico, Datome leader emotivo e di spogliatoio (adesso che è infortunato più che mai), Gentile toro scatenato, più gli specialisti: Hackett del pressing, Aradori del tiro pesante, Cusin del rimbalzo, Melli della difesa. È chiaro che un vero ruolo per Belinelli e Bargnani non c'è e questo considerando il loro status è un grande problema. Ma se per Belinelli la soluzione è dietro l'angolo (playmaker non battezzabile, al contrario di Hackett e Cinciarini), per Bargnani le idee sembrano meno chiare. Certo è che farlo accendere sarebbe la chiave per tornare ai Giochi, magari non subito come finalista di questo Europeo ma passando da uno dei tornei preolimpici. E magari organizzandolo guadagnandosi così la wild card, la buttiamo lì ma neppure tanto.
Twitter @StefanoOlivari