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Il pubblico paga per LeBron James

Il pubblico paga per LeBron James

Redazione

25 gennaio 2016

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Per mille ragioni Steph Curry è il giocatore che più colpisce la fantasia degli appassionati di pallacanestro del pianeta e anche onestamente la nostra, ma non c'è dubbio che per altrettante ragioni la NBA sia la lega di LeBron James, che nel 2003 ha preso il virtuale testimone da Michael Jordan e non l'ha più mollato. Anche in questa stagione, a meno di terremoti, Curry sarà eletto MVP ma LeBron ha una capacità di fare notizia che va spesso anche al di là delle sue intenzioni e delle sue azioni. Così un cambio di allenatore, normalissimo nella NBA dove l'allenatore conta meno che in Europa, è diventato un verosimile 'LeBron caccia Blatt'. Se poi al posto di Blatt, al di là del passaporto americano uno dei migliori allenatori europei dell'ultimo decennio, viene messo uno che in panchina è un signor nessuno, come Tyronn Lue, fino a pochi giorni fa assistente ai Cavs e in pratica addetto a LeBron (che lo conosce da quando era minorenne) oltre che alla preparazione delle difese, il piatto della polemica è servito. Poco credibile LeBron quando ha affermato di essere sorpreso dalla scelta dei dirigenti della franchigia dove è tornato nell'estate 2014 dopo avere raccolto quattro finali (con due anelli) in quattro anni a Miami. Pochissimo credibile David Griffin, general manager di Cleveland, quando  ha affermato che James non dirige la società. Di sicuro c'è che i Cavs al completo o quasi, quindi con Irving e Love, non sono mai sembrati né una squadra di Blatt, alla Maccabi, dove tutti remavano nella stessa direzione, né una squadra di LeBron come quella degli scorsi playoff che complici gli infortuni consisteva nel Prescelto più gente da battaglia alla Dellavedova. Lue come allenatore ha finora un unico pregio: sa in teoria come trattare con le stelle, avendo giocato sia con Jordan che con Bryant e Shaq e fatto l'assistente in contesti con altri campioni. Ma farlo da gregario è diverso che farlo da capoallenatore. Da sottolineare due cose. La prima è che Lue in nessuna intervista ha saputo o potuto spiegare in cosa i suoi Cavs saranno diversi da quelli di Blatt (si è limitato a un 'bisogna correre di più'), che erano e rimangono la prima squadra della lega nella Eastern Conference. La seconda è che Irving e Love sembrano meno disposti degli Wade e dei Bosh ad accettare la leadership anche mediatica di James, quindi se la squadra rimarrà quella attuale l'ambiente potrebbe esplodere e buttare quindi via una finale che a Est sembra piuttosto facile da raggiungere. Con magari qualcuno che dall'altra parte del tabellone gli butterà fuori i Warriors, cosa che al momento sembra fantabasket. Poi in Europa la forma mentale di giornalisti e addetti ai lavori di ogni sport è quella di solidarizzare con l'allenatore-guru, ritenendo il giocatore uno che deve eseguire gli ordini e basta. Nella NBA, più ancora che in America (il singolo non ha certo questo impatto nella NFL o nella MLB, per evidenti motivi anche tecnici), tutto ruota intorno al campione anche quando l'allenatore è un santone indiscutibile (cosa che Blatt dal punto di vista NBA non era). E quindi? La pallacanestro è lo sport di squadra in cui il singolo conta di più e la NBA la lega in cui questo concetto è estremizzato. Cacciando o comunque non difendendo Blatt, LeBron ha per la prima volta nella sua carriera dimostrato poca intelligenza, aggiungendo pressione inutile alla tanta che già ha. La possibile sconfitta in una finale con gli Warriors (vista l'ultima partita a Cleveland è uno scenario che ci sta) da risultato deludente ma accettabile si trasformerebbe nel disastro di LeBron. A meno che non vinca, ovviamente, perché 'L'uomo nell'arena' (citazione di Theodore Roosevelt messa in passato in bocca a LeBron dai suoi autori) ha sempre questa opportunità per esprimersi. Rimane il fatto che, brutalmente, il pubblico paghi per vedere i LeBron James e non i Blatt. E un'azienda ben gestita deve tenerne conto. Twitter @StefanoOlivari

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