Tutto secondo pronostico al
Forum:
Milano dopo 20 anni alza la
Coppa Italia davanti a un palasport non gremito, ma neanche vuoto e festeggia la fine di un digiuno che la scorsa stagione (vero annus orribili, per definizione di
Proli) era stato totale. Milano è apparsa la squadra più solida delle otto impegnate nelle
Final Eight. Per la profondità del roster, ma anche per il gioco espresso: si comincia a vedere la mano di
coach Repesa, che si concede anche il lusso di qualche esperimento contro
Venezia e contro
Cremona. Una squadra che “ama correre e che non riesce ancora a rimanere concentrata per tutta la partita” – Portaluppi dixit – ma che ha anche saputo costruire le sue vittorie grazie al predominio a rimbalzo e a una difesa la cui intensità è cresciuta man mano che gli avversari sono andati in difficoltà.
L’Olimpia di
Repesa: squadra dura che non molla mai neanche quando gli avversari sono alle corde.
A farne le spese la prima sera è stata
Venezia, apparsa senza capo né coda e con un atteggiamento davvero dimesso in campo.
Green e
Goss non sono riusciti a guidare la squadra e neanche a dare un solido contributo offensivo, mentre da
Ress, abilissimo a gettare la croce di tutti mali della
Reyer addosso al suo ex coach in sala stampa, probabilmente
De Raffaele si aspettava qualcosa di più di 0 punti e 0 rimbalzi in 20 minuti di gioco.
Se Venezia non è stata in grado di impensierire Milano, poco di più ha fatto
Cremona, giunta senza
Vitali e probabilmente stanca alle
Final Eight. La squadra di coah Pancotto è andata presto fuori giri, senza riuscire a gestire con attenzione i possessi in attacco e con il solo Cusin a cercare di arginare lo strapotere dei lunghi avversari.
Più avvincente, anche se sempre con l’Olimpia in vantaggio, la finale giocata da Milano contro la
Scandone. Avellino al momento è la squadra più in forma nel lotto delle inseguitrici, ma proprio contro Milano ha dimostrato grossi limiti a rimbalzo, dove Buva e Cervi non sono riusciti ad arginare la propensione della squadra meneghina a recuperare palloni. Limiti anche fisici con
Green e
Ragland che hanno subito chili e centimetri di
Jenkins,
dell’MVP della finale
Sanders (forse il migliore dei 5 mori che hanno fatto grande Sassari lo scorso anno) e la leadership di
Cinciarini. Proprio “
il Cincia”, risultato tra i migliori dei suoi, sembra aver ripreso quel processo di maturazione che tanto lo aveva fatto crescere a Reggio Emilia, ma che si era interrotto con il suo passaggio, più difficoltoso del previsto, in quel di Milano. Menzione d’onore per l’idolo delle folle – soprattutto femminili – di Milano:
Bruno Cerella, vero gladiatore e interprete del gioco di
Repesa e dello spirito delle scarpette rosse. Mai domo e sempre pronto a giocare, è sceso in campo
24 ore dopo la rimozione in artroscopia di un menisco interno del ginocchio rotto ai quarti contro
Venezia. Nove in pagella al chirurgo, ma 10 all’argentino che ha dimostrato cosa vuol dire voler star in campo.
Milano esce da queste finali con la consapevolezza di essere la prima forza del campionato. Repesa ha plasmato la squadra a sua immagine e somiglianza, al di là gioco veloce e dell’aggressività difensiva colpisce l’intensità con cui i suoi uomini tengono il campo e l’impatto che anche chi esce dalla panchina ha sulla partita. Sicuramente delle buone premesse in vista del rientro di
capitan Gentile, ancora infortunato, con il rimpianto che se i nuovi innesti e la quadratura del cerchio fossero arrivati prima,
l’Olimpia avrebbe avuto un altro rendimento anche in
Europa.
Al termine della finale il
Presidente Marino si è detto felice della partecipazione del pubblico e del successo della manifestazione. Ma qualcosa da rivedere in realtà c’è e forse se ne è accorto anche lui. Nonostante i miracoli tentati dalla regia della
RAI sono apparsi evidenti i tanti spazi vuoti tra le poltroncine del
Forum il giorno della finale e le tribune deserte del primo giorno. L’evento in se non ha attirato il grande pubblico e se Milano non fosse arrivata in finale anche la finale sarebbe andata deserta. Probabilmente è la formula che non alimenta molto interesse negli appassionati di basket. Non c’è un percorso per arrivare a giocarsi le finali, ma al contrario, un diritto acquisito dalla classifica del girone di andata – riservato a mezza serie A - per giocare poi, come in questo caso, un mese e mezzo dopo. Come risultato, le partite interessano i tifosi delle squadre in campo ma non abbastanza da spingerli a sobbarcarsi le spese della trasferta. La formula dei tre giorni poi non aiuta: chi pensa che la propria squadra non supererà il primo turno preferisce guardarla alla tv e chi invece spera nella finale si muove solo per l’ultima partita. Probabilmente una formula simile a quella adottata nella Coppa Italia del calcio, con una prima fase ad eliminazione diretta, potrebbe essere più seguita e aprirebbe la
Coppa Italia, almeno nella prima fase, a tutte le squadre di A e A2. Ridestare l’interesse quindi, svegliando un gigante addormentato, prima che nel sonno che diventi vecchio.
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@luigi_ceccon