I Philadelphia 76ers hanno anche in Italia moltissimi tifosi, lascito di Doctor J e della NBA anni Ottanta raccontata da Dan Peterson su Canale Cinque, per questo le loro vicende interessano più di quelle di qualsiasi nostra squadra di serie A. Può piacere o non piacere, ma questa e la realtà. Da anni i Sixers sono la barzelletta della NBA, come è ufficializzato dal record, ma il vero problema per la lega è che contraddicono il principio su cui è fondata, quello che in sostanza fa sì che le stagioni negative siano la base, attraverso il draft e altri meccanismi, per future stagioni positive. Il Verona deve nel giro di qualche stagione diventare la Juventus e viceversa, nessuno deve partecipare a una competizione in cui non potrà vincere nemmeno in prospettiva. Questa la teoria, la pratica dice che scelte sbagliate possono distruggere qualsiasi opportunità, per questo le dimissioni del generale manager Sam Hinkie sono state quelle accettate con più gioia nella storia dei Sixers: nelle tre stagioni della sua gestione la squadra ha vinto 19, 18 e quest'anno 10 partite sulle 82 del calendario. Non è stato 'battuto' il 9-73 della leggendaria stagione 1972-73, per lo meno, ma comunque nessuno è sceso in piazza a festeggiare. La strategia di Hinkie non era però strampalata né inedita: invece di migliorare la squadra anno per anno, meglio azzerarla e ricostruire con scelte di propria spettanza o 'acquistate' (virgolette doverose) sul mercato. Il piccolo problema è che sbagliando sistematicamente le scelte si continua a perdere. Da Nerlens Noel (numero 6 del 2013) a Jahlil Okafor (3 del 2015), passando per Michael Carter-Williams (11 del 2013), Dario Saric (tuttora in Europa) e Joel Embiid (3 del 2014) con i suoi infortuni annunciati, tutti tranne Carter-Williams, incredibilmente poi scambiato, sono stati lontani dalle aspettative con l'aggravante di comportamenti fuori dal campo tipici di una squadra senza veterani e quindi allo sbando, in una lega fondata sui giocatori. Una nostra sensazione è che Hinkie verrà rivalutato, se tutti questi giovani esploderanno tutti insieme, ma di certo niente irrita la NBA, intesa come azienda, come i perdenti che continuano a perdere. L'aspetto paradossale della vicenda è che i metodi del 39enne Hinkie, laureato a Stanford, sono da NBA 'vecchia', mentre le idee del 77enne Jerry Colangelo, da 4 mesi al capezzale dei Sixers insieme a Mike D'Antoni (al momento ancora esistente di Brett Brown), una vita ai Suns e poi costruttore di nazionali americane serie, sono da NBA 'nuova', quella che fa crescere un gruppo nel tempo invece di cambiare le carte tutte insieme.